Frutto della mente creativa di Antonio Gaudí, il Parc Güell di Barcellona è uno dei luoghi più belli della Spagna in cui suggestione, colori e architetture si mescolano armoniosamente.
Ubicato nel quartiere Gràcia, il Parc Güell venne ideato agli inizi del Novecento. Inizialmente avrebbe dovuto ospitare ben 60 abitazioni ma in realtà ne furono costruite solo due, colorate e dal tetto dalla curiosa forma di fungo.
Con il tempo, il parco avrebbe poi acquisito la fisionomia con cui oggi lo conosciamo.
Passeggiando tra le sue costruzioni e strutture, notiamo come l’artista abbia fatto ricorso alla tecnica del trencadìs già usata nella Casa Battlò. In cosa consiste? Tale tecnica “unisce frammenti di ceramica e pezzi di vetro colorati, riproducendo una sorta di mosaico con materiali di scarto” (cit. da https://www.greenme.it/viaggiare/europa/parc-guell/ ).
Gaudí è sicuramente un artista unico nel suo genere. Riservato e misterioso, egli unisce fantasia, intelligenza e colori in sculture e rappresentazioni mai banali e dal significato mistico e profondo.
Camminando tra le panchine e le curiose figure mitologiche del parco, è possibile imbattersi nella “Casa Museu Gaudí“, cioè la casa di Gaudí, oggi adibita a museo che ci permette di scoprire ulteriori aspetti della sua vita personale e delle tecniche da lui usate.
Prima però di solcare il pavimento della sua casa, conosciamo alcune delle opere del parco. Pronti?
1. Come non restare ammirati ed abbagliati dalla maestosità della Scalinate del Parc Güell? I suoi gradini attendono solo di essere solcati.
2. Se vi piacciono gli animali fantastici, sicuramente non potrete non notare questa suggestiva Salamandra, decorata con frammenti colorati di ceramica.
3. Non dimenticate di aguzzare la vista e di scorgere i numerosi mosaici che adornano colonne e pareti.
Se poi vi stancate, potete riposarvi su questa panchina dalla suggestiva forma serpentina (ne mostriamo solo una parte riccamente decorata) da cui poter continuare ad ammirare il parco.
Per saperne di più e scoprire come raggiungere e visitare questo luogo incredibile, cliccate qui:
Pif has been a beautiful and pleasant discovery. I knew about him and his “Caro Marziano” on RaiTre, the film “La mafia uccide solo d’estate” and his work with “Le Iene” on ItaliaUno.
Discovering him as a writer was an extraordinary revelation. With a funny but never banal story, it led me to rethink some aspects of my life that I have put aside for too long, forgetting them or pretending they never existed.
“… Dio perdona a tutti” is the story of Arturo, an estate agent whose life is similar to many others but with a great passion: sweets and candies. He has no particular vices apart from stopping in front of the shop windows of pastry shops and trying to start speeches (mostly monologues) on the techniques to make “sciù” and pastries with “ricotta” in the most correct way.
His life seems to run smoothly at least until he meets Flora, a beautiful pastry chef, with whom he falls madly in love and for whom he decides to take the big step, even if only for three weeks … No, no. I’m not talking about that big step but about another one: living as a true Catholic. You will see some good ones but I don’t want to add more than necessary.
The language flows quickly, the images follow one another in an alternation between sweets, soccer games, apartments and sprightly elderly. What emerges is the depth of a thought that highlights a double moral that belongs to all of us, some more and some less.
But I don’t want to add anything else. If you want, read it and let me know what you think.
Pif è stato una bellissima e piacevole scoperta. Di Pif conoscevo il suo “Caro Marziano” su RaiTre, il film “La mafia uccide solo d’estate” ed il suo lavoro con “Le Iene” su ItaliaUno.
Scoprirlo però come scrittore è stata una vera e propria rivelazione. Con una storia divertente ma mai banale e ricca di spunti di riflessione mi ha indotto a ripensare ad alcuni aspetti della mia vita che per troppo tempo ho messo da parte dimenticandoli o facendo finta che non fossero mai esistiti.
“… che Dio perdona a tutti” è la storia di Arturo, agente immobiliare dalla vita simile a tante altre ma con una grande passione: i dolci.
Non ha particolari vizi a parte quello di fermarsi davanti alle vetrine delle pasticcerie e tentare di intavolare discorsi (più che altro monologhi) sulle tecniche per realizzare nel modo più corretto gli “sciù” ed i pasticcini con la ricotta.
La sua vita sembra scorrere tranquilla almeno fino a quando incontra Flora, pasticcera bellissima, di cui si innamora perdutamente e per la quale decide di compiere, se pur per sole tre settimane, il grande passo… No, no. Non parlo di quel grande passo ma di un altro: vivere da vero cattolico. Ne vedrete delle belle ma non voglio aggiungere altro.
Il linguaggio scorre velocemente, le immagini si susseguono in un alternarsi tra dolci, partite di calcetto, appartamenti e anziani arzilli. Ciò che emerge è la profondità di un pensiero che evidenzia una doppia morale di cui spesso tutti, chi più e chi meno, siamo portatori.
Non voglio aggiungere altro. Se vi va, leggetelo e fatemi sapere cosa ne pensate.
Un tempo nota come Hydruntum, Otranto è una splendida città della penisola salentina. Ubicata in provincia di Lecce, diventata nel 2010 Patrimonio Culturale dell’UNESCO, essa è stata prima centro nevralgico di tradizione greco-messapica, quindi successivamente realtà romana, bizantina ed aragonese. La forza e la determinazione caratterizzano da sempre Otranto. Essa è stata infatti protagonista attiva della storia avendo subìto dominazioni, conquiste, devastazioni ma anche risalite.
Al centro di numerose vicende storiche, essa presenta numerose testimonianze architettoniche e storiche oltre che un’incredibile e meravigliosa bellezza del territorio.
Ma partiamo proprio da alcuni dei suoi luoghi più belli come la Cattedrale Normanna dedicata a Santa Maria Annunziata ed il Castello Aragonese.
Costruita tra il 1080 e 1088, essa presenta elementi tipici dell’arte bizantina, paleocristiana e romanica. Nel 1095 la cattedrale fu coinvolta nella “preparazione” della prima crociata. Ai piedi del suo altare infatti venne impartita la benedizione ai dodicimila crociati che, guidati dal principe Boemondo I d’Altavilla, sarebbero successivamente partiti in direzione del Santo Sepolcro.
Sempre la stessa Cattedrale di Otranto poi sarebbe tornata al centro degli eventi del tempo, divenendo custode dei resti dei Santi Martiri. Nel 1480 Otranto venne attaccata e devastata dai Turchi di Maometto II che catturarono, imprigionandoli, 800 uomini. Se si fossero convertiti all’Islam avrebbero avuto salva la vita. Invece rifiutarono non volendo rinnegare la propria fede cristiana e per questa ragione furono decapitati. Secondo la tradizione, dopo la decapitazione, il corpo del loro capo, Antonio Primaldo, rimase in piedi fino a quando l’ultimo dei suoi compagni non seguì il suo stesso destino. Nel 2013 sono stati tutti canonizzati.
Fonte di ispirazione del romanzo gotico Il castello di Otranto di Horace Walpole pubblicato nel 1764, il castello racchiude in sé bellezza, storia e mistero. Dotato di quattro torri, esso presenta anche un fossato ed un ponte levatoio che furono strumento di difesa delle mura cittadine. Danneggiato più volte a partire dalla seconda metà dell’XI secolo, della ricostruzione promossa nel 1228 da Federico II di Svevia rimangono […]tracce evidenti della torre del corpo mediano cilindrico, inglobata nel bastione a punta di lancia, e nella cortina muraria di nord-est. Un’analisi dei sotterranei lascia supporre che il Castello fosse impostato su una pianta con nucleo centrale quadrangolare, scandita agli angoli da torri cilindriche (cit. tratta da https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Otranto ).
Ma continuiamo il nostro viaggio tra le meraviglie di questa città, osservandone alcune delle località più belle e suggestive.
Poco fuori dalla città è possibile ammirare il bellissimo Laghetto di Bauxite . Ubicato in prossimità della baia delle Orte, si tratta di un lago artificiale nato a causa di una falda freatica. In questo luogo infatti, fino agli anni settanta veniva estratta la bauxite, un minerale da cui si ottiene l’alluminio.
Come non citare lo splendido e trasparente mare che è stato premiato più volte con la Bandiera Blu, e la Baia dei Turchi, bellissima spiaggia non lontana dal centro cittadino che deve il suo nome proprio ai Turchi che vi sbarcarono nel 1480 per assediare e distruggere la città.
Capo d’Otranto:
Foto di “Capo d’Otranto”, Di Esposito Luciano – original uploader was Gabbiano64 at it.wikipedia – Trasferito da it.wikipedia su Commons. Original text : privata, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=27884646
Last but not least, nominiamo Punta Palascìa o Capo d’Otranto. Caratterizzato dall’importante faro, luogo in cui il mare Adriatico e lo Ionio si sfiorano, esso si costituisce come realtà di suggestione, di bellezza ma anche di riflessione silenziosa.
Ed è con quest’ultima immagine che vi invito a visitare, appena sarà possibile, questo meraviglioso gioiello d’Italia. Per saperne di più, cliccate sui link sottostanti:
Magia e mistero caratterizzano questo piccolo borgo italiano. Tra i più belli e suggestivi della Puglia, esso è al contempo non solo luogo fisico ma anche simbolo dell’amore: stiamo parlando di Vico del Gargano.
In provincia di Foggia e posizionata a quasi cinquecento metri sul livello del mare, Vico è nota anche come la città degli innamorati. Protetta da San Valentino, Vico presenta suggestivi scorci dedicati proprio all’amore tra i quali ogni anno, nella seconda metà del mese di febbraio, viene celebrata la festa dedicata al martire cristiano e a chi si ama.
Inoltre proprio in concomitanza con la festa di San Valentino è possibile degustare i saporitissimi e coloratissimi agrumi del luogo che decorano la statua del Santo Protettore della città. Udite udite: sembra che il succo delle sue arance renda più saldo e durevole nel tempo il legame tra gli innamorati. Quindi perché non approfittarne?
Camminando tra i suoi vicoli, stretti gli uni agli altri, tra uno sguardo ed un sussurro sarà inevitabile lasciare una promessa d’amore nel pozzo delle promesse e scambiarsi un bacio sotto il vicolo del bacio. E dopo gli scambi di amorosi sensi come non fermarsi ad assaggiare il buonissimo dolce della sposa a base di pan di Spagna e la paposcia, una focaccia a base di ricotta e rucola.
Vico però è anche bellezza naturale e paesaggistica. Infatti nelle giornate più calde soleggiate è possibile recarsi alla Calenella e a San Menaio, due spiagge caratteristiche del luogo. Come non menzionare anche la Foresta Umbra, facente parte del Parco Nazionale del Gargano ed esteso per migliaia di ettari nei quali è possibile imbattersi in una grande varietà di animali e piante come faggi, aceri e carpini.
Sicuramente Vico con le sue zone limitrofe è tra i luoghi più belli del nostro paese: sarebbe un peccato non visitarla per conoscerla meglio. Voi ne avete sentito parlare? Ne avete solcato le strade?
Se avete letto “Benvenuti in casa Esposito” di Pino Imperatore, vi ricorderete sicuramente del “Capitano” e della sua amicizia con Tonino Esposito.
Misterioso, senza nome ma estremamente saggio, il teschio del Capitano è un amico fedele e attento su cui il protagonista del libro può contare.
“Adottato” da Tonino, il suo teschio racconta una delle tradizioni più interessanti e curiose di Napoli, legata a quel luogo ricco di suggestione e tradizione in cui riposa, cioè il “Cimitero delle fontanelle”.
Ossario che si sviluppa per circa 3000 mq nel quartiere Sanità, esso custodisce le ossa di persone di ogni età e dall’identità sconosciuta, cioè le “anime pezzentelle”.
“Uomini, donne, bambini senza nome. Anime pezzentelle, le chiamava la gente. Cinquantamila, centomila: nessuno era mai riuscito a stabilirne il numero. Nell’Ottocento alcuni cittadini della Sanità e di Materdei, sotto la guida di un sacerdote, Gaetano Barbato, avevano ordinato in cataste le ossa presenti nella caverna e allestito edicole, teche, altari. Era così nato, spontaneamente, nonostante gli ammonimenti delle autorità ecclesiastiche, un intenso culto popolare, e le spoglie degli sconosciuti defunti avevano cominciato a ricevere cure e attenzioni. Ogni devoto adottava un teschio. “Chesta è ‘a capuzzella mia!” diceva. […] Andava tutti i giorni ad accarezzarlo e a dedicargli’ o refrisco: una litania a conforto delle pene che la sua anima stava patendo nel Purgatorio. In cambio, gli chiedeva la guarigione da una malattia, una vincita al lotto, lo scioglimento di un maleficio. Se la grazia non avveniva, riportava la capuzzella nella massa indistinta degli altri teschi e ne sceglieva un’altra con cui iniziare daccapo la procedura”. (tratto da pag. 62 – 63 di “Benvenuti in casa Esposito”)
Da tempo questo luogo custodisce il riposo di chi non ha più nome e si confonde tra gli altri senza differenza e identità. Vi albergano soprattutto le vittime innocenti di quelle terribili epidemie (peste e colera) che hanno flagellato il capoluogo campano nel 1656 e nel 1836.
Spesso si trattava di persone così povere da non riuscire ad avere una degna sepoltura e quindi destinate ad una sepoltura comune senza nome.
Oggetto di devozione popolare, il cimitero venne chiuso per molto anni per poi essere riaperto inizialmente solo in occasione del Maggio dei Monumenti e quindi poi regolarmente a partire dal 2010.
Oggi è visitabile in gruppo o singolarmente. Nel finesettimana si parte da Porta San Gennaro in Piazza Cavour e da lì, attraversando il quartiere della Sanità, si giunge al Cimitero delle Fontanelle.
Per saperne di più, cliccate sui link indicati. Ma prima vi lascio con il mistero legato all’identità del “Capitano”: Secondo la leggenda, una ragazza povera aveva adottato questo cranio e gli rivolgeva premure e preghiere, supplicandolo di farle trovare un bravo marito. Il desiderio venne esaudito, e prima del matrimonio la giovane andò a omaggiare il teschio per la grazia ricevuta. Nel giorno delle nozze, in chiesa apparve un tipo eccentrico in divisa da ufficiale spagnolo, che al passaggio degli sposi sorrise alla ragazza facendole l’occhiolino. Per gelosia, il marito lo colpì a un occipite con un pugno. Dopo il viaggio di nozze, la novella sposa tornò nel cimitero delle Fontanelle per ringraziare ancora il teschio, e notò che attorno alla sua orbita oculare sinistra era comparso un cerchio scuro. Ben presto si gridò al miracolo. Alla sconosciuta capuzzella fu dato il nome di Capitano, e molti cominciarono ad attribuirle prodigi, magie, interventi soprannaturali”. (tratto da p. 63-64 di “Benvenuti in casa Esposito”)
Siamo negli anni 90 quando il Comune di Milano decide di acquistare gli spazi abbandonati della zona industriale dell’Ansaldo. La ragione? Dare vita a nuove realtà culturali come ilMudec, il Museo delle Culture destinato a dare voce alle differenti culture e visioni etnico-antropologiche del mondo.
Lo scopo primario del museo è quindi quello di tenere vivo il dialogo interculturale con le culture più lontane. Basti osservare le immagini sottostanti per averne conferma. La prima mostra una lampada votiva in uso durante la festa buddista della Ullambana, dedicata ai morti e agli antenati mentre la seconda un vaso riconducibile alla fine del regno dell’Imperatore Mutsuhito.
Esteso per circa 17.000 mq, il Museo delle Culture è organizzato in vari settori. Vi troviamo aree espositive dedicate ad oltre 7000 opere ed oggetti provenienti da ogni parte del pianeta; l’auditorium, in grado di ospitare trecento persone; laboratori dedicati alla didattica e al restauro ed una biblioteca con più di 4000 libri. Vi è possibile consultare testi di storia dell’arte nonché opere dedicate alle ricerche e agli studi etno-antropologici come ad esempio quelle dedicate alle popolazioni asiatiche o dell’America Latina.
A tal proposito preme ricordare come recentemente via sia stato celebrato im l’evento espositivo “Il mio letto è un giardino – Mi cama es un jardín. I tessuti delle donne del monte Quichua dedicato alla produzione tessile realizzata presso il monte Quichua in Argentina.
Il Mudec si offre come un’opportunità straordinaria per i cultori dell’arte, della bellezza ma soprattutto della curiosità. Cliccando sui link in basso potrete trovare tutte le informazioni che vi servono per visitarlo. Buona cultura. ☺️
Aielli: tra i colori e le suggestioni dei suoi murales
Colori, disegni, arte e creatività: ecco cosa emerge volgendo lo sguardo verso gli incredibili murales del borgo abruzzese di Aielli.
Numerosi artisti, come lo spagnolo Okuda San Miguel ad esempio, hanno dato modo alla propria personalità di esprimersi al massimo attraverso colori e forme incredibili.
La Street Art è diventata nel tempo un modo nuovo e suggestivo per valorizzare questo luogo dal fascino medievale. Strade, case e finestre sono diventate le tele ideali su cui poter esprimere emozioni, bellezza e idee.
Ma Aielli non è solo murales. Infatti questo borgo ospita La Torre delle stelle, una torre medievale deputata a osservatorio astronomico. E proprio a proposito di astronomia, ricordiamo un momento che ogni anno, nel mese di agosto, riempie questa città di turisti e curiosità. Parliamo di Borgo Universo, un evento che riunisce stelle, arte, musica e murales in un connubio da lasciare senza fiato.
Proprio nelle vicinanze della Torre delle Stelle c’è il muro di Fontamara sul quale è stato trascritta integralmente dall’artista Andrea Parente il testo Fontamara di Ignazio Silone.
Tramite l’opera l’autore si fece portavoce degli“uomini che fanno fruttificare la terra” (cit.) ma che sono oggetto dei soprusi ingiusti di chi, forte della propria posizione e soldi, li priva dell’acqua, fonte primaria della propria esistenza ed attività.
Le parole della nostra Costituzione sono state trascritte invece su una parete bianca presente nel parco giochi della città. I nostri articoli riecheggiano e si mostrano ai passanti pronti ad essere letti e colti nella loro forza legislativa e di contenuto.
Se avete la possibilità di recarvi in Umbria, allora non potete non visitare un luogo dalla suggestione straordinaria. Parliamo del Museo delle Mummie di Ferentillo, a pochi chilometri da Terni. Nato verso la fine del XIX secolo, è sicuramente uno dei più luoghi più visitati di questa regione.
Verso la fine del XV secolo la famiglia Cybo dispose la costruzione di alcune chiese. Una di queste fu quella di Santo Stefano, presso il Borgo di Precetto, ove, a partire dal XVI secolo, furono inumati tutti i defunti del luogo.
Proprio gli scavi eseguiti nella cripta di questa chiesa hanno permesso di scoprire alcuni corpi mummificati. E proprio all’interno della cripta è stato successivamente ubicato il citato Museo delle Mummie di Ferentillo. La mummificazione dei corpi ha avuto luogo grazie ad un particolare batterio del terreno e alle giuste condizioni di temperatura e umidità. Essa è stata completamente spontanea e dovuta soprattutto alla disidratazione delle parti molli. Alcune mummie presentano la pelle integra, le unghie intatte, i denti, le orecchie, le labbra, barba, capelli e alcuni organi. Tuttavia lo stato di conservazione dei corpi estremamente fragili e dei loro abiti rischia oggi di essere compromesso proprio dall’umidità dell’ambiente. (tratto da freewordsmagazine) Dal 1992, per preservare ancora meglio i corpi ivi presenti e quindi incrementare il flusso dei visitatori senza procurare alcun danno, sono state introdotte nuove teche espositive, come si vede dalle immagini.
Se anche voi siete affascinati dalla bellezza e dalla fascinazione dei luoghi ma soprattutto se anche voi volete conoscere o immaginare la storia che si cela dietro ognuna delle mummie, allora non potete perdervi l’occasione di recarvi in questo museo.
“Imparare è l’unico modo per trasformare un fallimento in un successo”: queste parole, che dovrebbero guidarci sempre, costituiscono anche il motto di un luogo incredibile del quale oggi parleremo.
Parliamo del Museo del fallimento che si trova in Svezia. Il Museum of Failure raccoglie tantissimi oggetti prodotti anche da marchi importanti, come la Apple o la Nokia, che però non hanno ottenuto il successo sperato, risolvendosi anzi in un bel nulla(cit da freewordsmagazine).
Vediamo in questa galleria d’immagini alcuni prodotti che, nonostante le prospettive e le intenzioni propositive ed ottimistiche delle casi madri, in realtà si sono rivelati in un nulla di fatto.
Tuttavia questo non ha impedito ai loro creatori di continuare a provarci, inventando prodotti di successo. Ed è questa la filosofia che dovremmo fare nostra: perseverare e non arrenderci mai. Bisogna provarci sempre.