Occhi bassi e voce flebile. Il mondo dei timidoni abbraccia più persone di quanto si possa immaginare. E voi, siete timidi?
Partiamo dal fatto che la timidezza è un’emozione assolutamente normale. Tuttavia può incidere in maniera significativa sulla nostra vita impedendoci di vivere appieno certe situazioni e momenti che possono rivelarsi anche preziosi ed importanti.
Essere timidi non significa però non saper o voler apprezzare la compagnia altrui. Il problema è proprio riuscire a vincere le proprie paure ed avvicinarsi alle persone con sicurezza. Le ragioni possono essere varie come il timore di non sentirsi all’altezza oppure quello di essere giudicati negativamente.
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La persona timida spesso e volentieri può provare anche un forte senso di disagio che può manifestarsi anche attraverso il linguaggio del corpo. Balbettio, sudorazione eccessiva, rossore sulle guance e sguardo basso: i segnali ci sono tutti per capire se ci sentiamo a nostro agio.
La timidezza non va però sempre vista come qualcosa di negativo. Cerchiamo di vederne quindi gli aspetti più significativi e positivi:
1. A noi timidoni piace ascoltare: è un nostro modo personalissimo per mostrarci vicini a chi ci circonda.
2. Parlare… Ma perché sprecare tempo con parole inutili e ridondanti quando basta uno sguardo semplice e significativo per entrare in contatto con chi davvero è disposto ad ascoltare.
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3. La delicatezza dell’eloquio del timido ci mostra per quello che siamo ed è indice di un grande rispetto anche per chi non ci comprende.
4. Chi è timido non si palesa nell’immediato ma il suo disvelamento può portare a bellissime sorprese.
5. Il mondo dei timidi non è quello che immaginiamo. È ricco di una bellezza misteriosa che attende solo di essere rivelato.
“Lo so che è sabato ma perché dovremmo uscire, soprattutto con questo tempaccio? È così bello stare su questo divano, avvolti dalle coperte e con un bel libro da leggere” .
Ebbene sì, sembra che trascorrere il weekend all’insegna del relax domestico in compagnia delle pagine di un romanzo sia diventato un piacevole must. In particolare durante i freddi e piovosi giorni d’inverno.
Ma cosa spinge una persona a preferire le parole scritte alla compagnia delle persone, alle luci del cinema o alle musiche di un pub dopo una settimana lunga e stressante trascorsa al lavoro?
Intanto dovremmo partire dal presupposto che leggere, soprattutto da quando si è bambini, contribuisce allo sviluppo del linguaggio, della fantasia e creatività ma anche della capacità di essere empatici ed assertivi. Inoltre è un modo alternativo e meraviglioso di viaggiare in altri luoghi e tempi, reali, irreali o persino surreali. Non dimentichiamoci che la lettura è anche un ottimo antistress naturale, che ci consente di dimenticare, seppur per qualche ora, i problemi ed i pensieri quotidiani.
Ognuno ha le proprie ragioni per preferire un weekend da “asociali incompresi” ad un finesettimana ormai diventato conformista.
Quali sono i vostri personali motivi che vi spingono a preferire i libri ad un’uscita con gli amici? Io ve ne elencherò qualcuno, serio o semiserio che sia. Se vi va, aggiungetene altri. Pronti?
1. Semplicemente non avete voglia di vedere “gente”. Dopo una settimana, in ufficio o in cuffia al call center, avete bisogno di purificare la vostra mente e di non pensare a niente.
2. Non vi va di “sistemarvi”. Perché rinunciare alla tuta o al comodissimo pigiama con annesse pantofole per indossare quei tacchi 12?
3. Il divano ha un potere ipnotico che viene incrementato dal profumo delle pagine dell’ultimo libro di Pennac.
4. Diciamocelo: non dobbiamo per forza “fare gli splendidi” davanti alle pagine di un libro.
5. Ma soprattutto: perché dovremmo rendere conto agli altri di questa nostra scelta?
“Pensi sempre e solo a te! Non t’importa degli altri.” Quante volte ci è capitato di ascoltare o addirittura di pronunciare tali parole con foga e convinzione.
Siamo soliti infatti attribuire al termine “egoismo” un’accezione ed un significato profondamente negativi. Ma siamo proprio sicuri che sia corretto al cento per cento?
Nessuno mette in dubbio il fatto che la persona egoista sia colei che ignora chi la circonda concentrandosi solo su sé stessa e sulle proprie esigenze, disinteressandosi quindi totalmente di quelle degli altri.
Ma siamo certi che sia sempre così sbagliato pensare alle proprie necessità? Non sarebbe più corretto parlare dell’esistenza anche di una forma di egoismo corrispondente in realtà ad una presa di coscienza e consapevolezza della propria persona ed individualità, nonché del proprio valore?
“Senza egoismo l’autostima non c’è. È ovvio che può diventare problematico quando diventa la caratteristica principale di una personalità ma allo stesso tempo anche l’eccesso di altruismo può diventare dannoso e negativo”. (cit. di Matteo Merigo, psicologo e psicoterapeuta da fanpage.it)
Essere troppo altruisti e disponibile può in effetti portare a risvolti negativi, non soltanto per quanto riguarda le proprie relazioni ma anche e soprattutto per quanto concerne la propria persona intesa come individuo. Attenzione perché parliamo di individuo e non di individualismo.
L’autoreferenzialità del resto viene disgiunta dall’altruismo ma allo stesso tempo non può non essere legata alla ricerca e al raggiungimento del proprio IO e del proprio equilibrio interiore.
Dare spazio a se stessi è assolutamente fondamentale oltre che necessario. Si tratta infatti di una forma di egoismo che in realtà è ricerca di sé e di ciò che ci determina e che va salvaguardato.
Essere in grado di dire di no e di dare spazio ai propri progetti è un diritto imprescindibile del quale nessuno può fare a meno e di cui non si può essere privati perché ci permette di raggiungere un benessere personale ed individuale che può portarci anche ad aprirci agli altri e di mostrarci ma soprattutto essere altruisti.
Paradossalmente l’egoismo, inteso come attenzione e cura di sé, può essere quindi concepito come precondizione di quella forma alta e preziosa di attenzione per l’altro che è l’altruismo.
Oggi parleremo di un problema abbastanza comune in particolare tra i ragazzi che frequentano la scuola ma assolutamente affrontabile e risolvibile. Ci occuperemo infatti dei disturbi dell’apprendimento, cioè i DSA.
L’apprendimento è un processo dinamico e mai statico, in evoluzione e mai fisso ed identico a se stesso. Esso non può essere però ricondotto alla mera sfera didattica ma abbraccia anche la dimensione più personale, affettiva e familiare dell’individuo. Il processo di apprendimento non può prescindere dalla relazione tra la persona che apprende e chi elargisce conoscenza. Lo studente non deve limitarsi però ad essere mero serbatoio di nozioni e regole ma sviluppare una capacità di ricezione ed elaborazione cognitiva tale da essere determinante ai fini anche del suo sviluppo psicologico, cognitivo e formativo.
Difficoltà ed ostacoli appaiono inevitabili nel percorso scolastico del fanciullo come nel corso della vita in generale d’altronde. Acquisire e fare proprie modalità e strategie di studio, determinare finalità ed obiettivi nonché sviluppare l’abilità di applicare al reale le nozioni apprese appaiono determinanti nel processo apprenditivo. I disturbi dell’apprendimento, i DSA, possono in tal senso rendere difficile acquisire tutte quelle competenze fondamentali non solo a livello scolastico ma anche a quello personale – relazionale, come leggere, scrivere ed eseguire dei calcoli.
Questa tipologia di disturbo prescinde dalla presenza di problematiche fisiche e mentali gravi, come lesioni cerebrali o neurologiche. Infatti i DSA sono presenti in individui con intelligenza rientrante nella media e con un’ottima capacità di apprendere. Tuttavia la presenza di questi disturbi può rendere difficile il processo apprenditivo con inevitabili conseguenze sul piano scolastico ed individuale.
Identificabili solo in età scolare, i DSA accompagnano l’individuo nel corso di tutta la sua vita con effetti anche importanti sul piano psicologico e relazionale. Tuttavia una delle caratteristiche più interessanti dei DSA è la possibilità di agire su di essi attraverso opportuni interventi sul piano didattico ed educativo che possono comportare l’acquisizione di opportune strategie di apprendimento nonché di ausili pratici. La classificazione generale dei DSA comprende:
dislessia, cioè il disturbo legato alla lettura;
disortografia e disgrafia, relative alla scrittura;
disturbo specifico relativo alla compitazione;
disturbo relativo alla comprensione di un testo;
discalculia, problematica legata al calcolo.
La discalculia che in particolare sarà l’oggetto del nostro articolo, si può manifestare in vari modi:
difficoltà a riconoscere i simboli numerici;
difficoltà ad associare al termine matematico il suo simbolo grafico;
incomprensibilità dei simboli numerici o grafici in generale;
incapacità a comprendere le regole alla base delle operazioni matematiche;
difficoltà a comprendere “i dati” di un problema e la loro organizzazione ai fini della sua risoluzione;
difficoltà anche nelle manipolazioni matematiche più semplici;
incapacità o scarsa capacità di mettere in colonna i numeri;
difficoltà nel capire come inserire in modo corretto la virgola, in modo da dividere in modo corretto i numeri interi dalla parte decimale;
problemi nell’apprendere ed utilizzare in modo corretto le tavole pitagoriche;
incapacità nell’organizzazione dei calcoli matematici ma soprattutto difficoltà nella capacità di astrazione, fondamentale in geometria ed algebra.
Niente paura però! Ci sono un sacco di strumenti utili per affrontare questo tipo di DSA ma anche gli altri. Nel caso specifico della discalculia, tali strumenti possono essere un computer con connessione Internet, le “tabelline”, la calcolatrice, un tabellone raffigurante unità di misura, figure geometriche e loro formule. L’alunno, oltre ad usufruire di tali strumenti, ha a disposizione anche di più tempo per i compiti in classe, ad un numero inferiore di esercizi da svolgere, ad interrogazioni programmate e quindi ad una valutazione che non può prescindere dai disturbi.
1. Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari.
2. Agli studenti con DSA le istituzioni scolastiche, garantiscono: a) l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, che tenga conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate; b) l’introduzione di strumenti compensativi, compresi i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune prestazioni non essenziali ai fini della qualita’ dei concetti da apprendere; c) per l’insegnamento delle lingue straniere, l’uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilita’ dell’esonero.
Agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all’universita’ nonche’ gli esami universitari” (Art. 5, Misure educative e didattiche di supporto, LEGGE 8 ottobre 2010, n. 170 Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico. Vedi il sito https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2010/10/18/010G0192/sg).
Quindi niente paura perché per ogni problema c’è una possibile soluzione: l’importante è agire per tempo. In questo modo sarà possibile ovviare alle difficoltà. (Testo tratto da “Apprendimento e DSA. Analisi della discalculia evolutiva)
Per saperne di più cliccate sul link e leggete il mio libro:
Spesso, volenti o nolenti, siamo circondati da persone negative e tossiche, incapaci di contribuire in modo positivo alla nostra crescita ed evoluzione personali. Esse infatti sono in grado di incupire il nostro animo, privandolo dell’energia necessaria per vivere ed accrescere in ampiezza, profondità e significato.
Stiamo parlando dei “vampiri energetici”. Come avrete intuito, il riferimento alla figura del vampiro non è casuale: come il vampiro dei miti tradizionali si nutre del sangue per garantire a se stesso l’immortalità e la vita, così il vampiro energetico priva di linfa vitale la povera vittima predestinata che si ritrova infatti svuotata di energia e smarrita.
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I vampiri energetici sono individui estremamente negativi, incapaci di vivere in maniera serena e sana il rapporto con gli altri che riempiono con le loro frustrazioni e cupezze interiori. Coloro che hanno fatto esperienza di frequentazione con queste persone non potranno che confermarlo e sottoscriverlo.
Purtroppo chiunque può essere un vampiro energetico: spesso anche un parente, un amico o il proprio partner. Ma cerchiamo di scoprirne le caratteristiche:
Estremamente autoreferenziali e pieni di sé, i vampiri energetici riversano sugli altri la propria negatività ed il proprio malessere,accusandoli delle loro sfortune;
Ogni cosa è fonte di critica e di lamento;
Nulla sembra essere soddisfacente;
Ogni cosa assume i contorni della negatività e della pesantezza;
Ottimi affabulatori, riescono a conquistare le loro vittime mostrando inizialmente interesse nei loro confronti ma solo per conquistarli e trasformarli nei destinatari del proprio malessere.
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Appare inevitabile essere influenzati da questi individui. Una volta venuti a contatto con loro, essi determinano il corso della nostra vita incidendo anche sul nostro umore e stato d’animo con gravissime conseguenze sul nostro equilibrio fisico e mentale. Per salvarsi è fondamentale riconoscere il “nemico” e tenersi lontano da lui. Importante a tal proposito appare la necessità di salvaguardare la propria energia e vitalità erigendo un vero e proprio muro difensivo contro tali personalità.
Ricordiamo che meritiamo di meglio e questo implica essere circondati da chi porta positività e bellezza.
Ciò che penso, semplicemente, è che, una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l’esistenza finisce col perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature. (cit. tratta da L’arte di correre (Torino, Einaudi 2007) di HARUKI MURAKAMI)
Travolti da continui stimoli, impegni, riflessioni ed idee spesso e volentieri perdiamo di vista ciò che maggiormente dovrebbe contare per noi. Ecco perché approfitteremo di questo spazio per riflettere proprio sulle nostre priorità.
Tante cose contano e sono importanti. Tuttavia è necessario operare delle scelte in modo da poterci dedicare con maggiore attenzione ai nostri obiettivi e progetti ed evitare di disperdere quell’energia che potremmo impiegare diversamente ed in maniera più produttiva. Occam direbbe di usare un rasoio per cancellare dal nostro panorama il superfluo e cogliere l’essenziale ma di questo filosofo parleremo in seguito, se lo vorrete.
Non esiste ovviamente un elenco unico e valido per tutti semplicemente perché siamo ognuno diverso dall’altro. Per qualcuno la priorità è il lavoro, per un’altra persona è la famiglia, per qualcuno è viaggiare o semplicemente leggere per nutrire il proprio spirito.
Personalmente aborro tutti quegli articoli che cercano di mostrare cosa è più importante realizzare o cosa non lo è affatto anche perché, nella loro faziosità, sembrano quasi voler suggerire proprio quell’omologazione tra le persone che va a cancellare la propria individualità.
Tuttavia…Giungiamo alla questione fondamentale.
Quali sono le vostre priorità? Ma soprattutto coincidono con i vostri sogni, con quelli del passato e con quelli attuali? E se non fosse così?
Credere in se stessi e nelle proprie capacità: quando si parla di autostima, si dovrebbe partire proprio da questi concetti base. Essere in possesso di una buona autostima permette infatti di guardare alla vita con sicurezza e ottimismo ma soprattutto con una maggiore fiducia nelle proprie potenzialità.
L’autostima può essere costruita, allenata e rafforzata giorno dopo giorno anche attraverso piccoli gesti quotidiani che, nel loro attuarsi, non possono che contribuire alla costruzione della felicità. Bisogna però partire dalla consapevolezza che delusioni, rimpianti ed errori fanno parte del percorso di ognuno di noi e che quindi inevitabilmente andranno visti come strumenti per costruire la stima per se stessi. Che poi questa stima possa essere alta o bassa dipenderà dalle circostanze e dagli eventi ma soprattutto dal significato che vorremo dare a loro.
Essere in possesso di un’elevata autostima porta ad avere fiducia in se stessi e nel proprio futuro. In particolare un alto livello di fiducia in se stessi fornisce agli individui la capacità di gestire situazioni difficili, di reagire positivamente ed efficacemente alle sfide, di impegnarsi costruttivamente nelle relazioni significative e di migliorare costantemente i propri punti di forza e diminuire i punti di debolezza (cit. tratta da https://www.psicologoacilia.it/autostima.html).
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A contribuire allo sviluppo dell’autostima è sicuramente il periodo adolescenziale, visto il “forte” peso della famiglia, della scuola e della rete di relazione. A tal proposito propongo l’analisi di Heatherton e Wyland. Gli adolescenti con un alto livello di autostima hanno le seguenti caratteristiche: sono in grado d’influenzare positivamente l’opinione e comportamento degli altri; affrontano positivamente nuove situazioni; hanno un alto livello di tolleranza verso la frustrazione; hanno un buon autocontrollo e la convinzione che quello che accade è quasi sempre il risultato delle proprie azioni aumentando le capacità di problem solving. Spesso un basso livello di autostima, può essere visto come uno “stato” temporaneo legato all’influenza della specifica situazione problematica che si sta vivendo in determinato periodo di tempo. (Heatherton and Wyland, 2003) (cit. tratta da https://www.psicologoacilia.it/autostima.html).
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In che modo però possiamo sviluppare la nostra autostima e quindi la nostra personale visione della nostra vita e del futuro? Semplicemente seguendo alcuni semplici suggerimenti:
cambiare atteggiamento verso i problemi e le difficoltà, interpretandole non come fallimenti ma come punto di partenza con cui guardare in modo nuovo la realtà;
mutare quindi lo sguardo nei propri confronti, coltivando passioni ed interessi con cui valorizzare se stessi;
essere più positivi e consapevoli delle proprie potenzialità e talenti;
essere consapevoli ma anche orgogliosi delle proprie debolezze e fragilità;
trasformare le debolezze e fragilità in punti di forza.
Voi che rapporto con la vostra autostima? Cosa pensate di voi? In che modo la coltivate nella vostra quotidianità?
Quante volte da piccoli abbiamo chiesto ai nostri genitori o ai nonni di leggerci una favola. A me personalmente piaceva molto il modo in cui riuscivano a “rendere” i personaggi tramite toni singolari ed espressioni talvolta bizzarre e divertenti. Confesso che ancora oggi, quando mi capita di leggere ad alta voce una favola, spesso e volentieri cerco di immaginare e di riprodurre le voci dei loro protagonisti ripensando proprio alla mia infanzia e al clima che si veniva a creare in quei momenti.
Tuttavia nel tempo le cose sono “leggermente” cambiate. Recentemente infatti ho letto un breve articolo, del quale indicherò il link alla conclusione della riflessione, che mi ha incuriosita e sul quale vorrei una vostra riflessione.
“1 genitore su 4 chiede ad Amazon Alexa di leggereuna favola della buonanotte al posto suo“: il titolo, nella sua chiarezza, porta immediatamente ad una prima riflessione. Perché un genitore dovrebbe far affidamento ad un dispositivo elettronico per leggere una favola? La lettura di una storia non dovrebbe essere un prezioso momento di condivisione da trascorrere con il proprio bambino?
Attenzione: il problema non è dato da “Alexa” che può in effetti rivelarsi uno strumento utile ma dal rischio di spersonalizzazione e di straniamento legato ad un suo uso come sostituto di una figura parentale o familiare in un momento così prezioso. D’altro canto sembra di affrontare di nuovo un discorso simile a quello relativo all’abuso della televisione ed ora “esteso” all’utilizzo dello smartphone, del computer e dei dispositivi elettronici.
Ma cerchiamo di addentrarci con maggiore attenzione nell’articolo che appare davvero interessante nei suoi contenuti. Sembra che su 1000 genitori intervistati circa il 30% faccia ricorso a questo dispositivo per leggere una storia ai propri bambini. Certo, è consolante sapere che il rimanente 70% ricorra al “classico” libro ma mi soffermerei di più sul perché si faccia ricorso ad Alexa.
Francesca Simon, autrice americana di libri per ragazzi, afferma: “In questa maniera si trasmette ai figli il messaggio ‘i libri non sono importanti per me’. E’ davvero questo il messaggio che vogliamo passare? Io non credo alla scusa del ‘non ho tempo’. La vera motivazione è semplicemente pigrizia, stanchezza o mancanza di voglia”. (cit.)
La Simon pone l’accento su due aspetti fondamentali da cui discendono le relative inevitabili conseguenze: il primo è la pigrizia mentre il secondo è la scarsa attenzione attribuita ai libri.
Pensiamoci: siamo davvero così stanchi da non riuscire neppure a trascorrere qualche minuto con i nostri figli raccontando una storiella (se proprio non ci va di leggere una favola)? E poi, come possiamo pretendere che i nostri piccoli amino i libri se noi per primi non diamo loro il buon esempio leggendone uno?
Fatemi sapere cosa ne pensate. In basso vi lascio il link con l’articolo del quale vi ho parlato e da cui è tratta la citazione.
Incredibile ma vero. Siamo arrivati a luglio, l’estate ormai è arrivata e tutto sembra procedere secondo i nostri piani. in effetti siamo molto più rilassati. Nulla può più sconvolgerci, a parte questa visione:
Sopravviveremo anche a questo, non temete. Tuttavia, mi domando, è possibile costruire l’identikit dell’italiano medio in vacanza? Che ne dite, ci proviamo?
Sembra che circa il 50% della popolazione italiana preferisca il mare in estate e che il restante si divida tra città d’arte, montagna e campagna (vedi Focus, agosto 2017). Indipendentemente dalla meta del viaggio e del luogo , la parola chiave delle vacanze è sempre la stessa, universale e valida ovunque: riposo.
Lo scopo primario di una vacanza infatti è il relax. Lontano da tutti e da tutto ciò che ci infastidisce e ci stressa, in quei pochi giorni dedicati alle ferie possiamo finalmente ritemprarci dedicandoci a ciò che amiamo di più. Per qualcuno può essere immergersi nella lettura “matta e disperatissima”, per altri può corrispondere allo shopping nei mercatini oppure alle sagre per assaggiare tutto ciò che alla nostra vista e olfatto appare invitante.
C’è anche chi si dedica al dio Morfeo o al “leggerissimo” pranzo in spiaggia.
Ma torniamo alle vacanze ambite e, per alcuni, ancora lontane. In caso di vacanze balneari è importante la scelta della spiaggia: che sia la meno frequentata possibile, per quanto mi riguarda. Quindi pochi intimi, cioè io ed il mare (Hemingway docet). Sembra strano ma è proprio così. In vacanza ricerchiamo la tranquillità e la fuga dal quotidiano asfissiante fatto di moltitudini di impegni lavorativi e familiari che portano a contatti con fin troppe persone.
Chiusi nella nostra baita con vista sulle Alpi oppure stesi sul nostro asciugamano o telo, amiamo assopirci osservando le vette lontane oppure ascoltando le onde del mare o la musica da Spotify.
Tutti affermano di volersi staccare dalla rete. Tuttavia, è lecito domandarsi quale sia l’origine dell’innumerevole quantità di foto che ogni anno ritraggono gambe sul bagnasciuga e imperversano sui social praticamente a qualsiasi ora del giorno.
Il classico vacanziere, quando ha voglia e non è preso dalla mania dei selfie, chiacchera amabilmente con il vicino di ombrellone del più e del meno. Cibo, tempo, feste patronali e, per le signore più in confidenza, i pettegolezzi: tutto diventa argomento principali di conversazioni.
Quando la chiacchiera giunge al termine, arriva il momento di giocare a carte e di mangiare. In effetti quello è il momento clou. A seconda della provenienza geografica, avremo a che fare con piatti più o meno leggeri. Quindi via libera ai tramezzini o alla pasta. Essendo meridionale, opterei per la seconda opzione.
Rilassiamoci. I giorni da dedicare a noi sono davvero pochi. Approfittiamone prima che torni l’inevitabile mese di settembre che ci catapulterà di nuovo alle responsabilità ed ai doveri.
link:
Per saperne di più:
“Spiaggiati” in Focus, scoprire e capire il mondo, n.298 agosto 2017
“La banalità del mare” in il Venerdì di Repubblica, n. 1532, 28 luglio 2017
Oroscopo e astrologia: quanto influenzano la nostra vita
Cari amici di fuoritempofuoriluogo, come sapete una delle rubriche più amate e seguite di questo blog è quella dedicata all’oroscopo filosofico. Con un approccio tra l’ironico ed il divertente, cerchiamo sempre di regalarvi ogni mese qualche momento di relax ma anche di riflessione mai banale (almeno lo si spera). Ma quale valore hanno gli astri? Cosa raccontano di noi?
Il tema di questo articolo, tratto dal blog gemello freewordsmagazine, sarà rappresentato proprio dagli oroscopi e dalla loro influenza – seria o semiseria – sulla nostra vita.
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Ogniqualvolta sfogliamo una rivista o un quotidiano, quasi subitaneamente, nella maggior parte dei casi, compiamo un gesto automatico ed immediato. Incuriositi infatti dall’evolversi degli eventi che riguardano la nostra vita e desiderosi di conoscere il nostro futuro, consultiamo l’oroscopo. Ormai è un’abitudine alla quale non possiamo rinunciare. C’è chi vi si rivolge con ironica e leggera curiosità (come facciamo noi) e chi invece vi si avventa letteralmente sperando di rivenire tra le criptiche parole trascritte la soluzione ai propri problemi o la risposta ai quesiti esistenziali.
Ma è realmente possibile pensare ad una correlazione tra i fenomeni astronomici e gli eventi terreni? Davvero le stelle, i pianeti e le loro orbite influenzano l’andamento della nostra vita a partire dalla nascita?
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I primi ad occuparsi di quadri astrali ed oroscopi furono gli Assiro – Babilonesi ma ben presto tale pratica cominciò a diffondersi anche nel Mediterraneo coinvolgendo, a partire dal terzo secolo a.C., i Greci.
Non solo grandi condottieri del passato si sono rivolti agli astrologi per conoscere il proprio futuro o avere rassicurazione sull’esito di una battaglia ma anche governanti e politici moderni sembrano avervi fatto ricorso. “Tra questi non sono mancati personaggi illustri, come Ronald Reagan: l’ex presidente americano, quando era alla Casa Bianca, non prendeva mai un appuntamento senza aver consultato la sua astrologa di fiducia, proprio come una volta facevano re e imperatori, che prima di intraprendere qualsiasi azione di governo dovevano conoscere il parere delle stelle” (cit. Focus, vedi link in basso).
Tuttavia nei profili dei dodici segni zodiacali non cerchiamo solo il futuro ma anche e soprattutto il rispecchiamento e la conferma della nostra personalità. Basti pensare a quante volte, quotidianamente, ci imbattiamo nella descrizione delle caratteristiche del nostro segno, cercando corrispondenze con ciò che pensiamo di noi e spesso, sorprendentemente, trovandole.
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Facciamoci caso: le descrizioni degli oroscopi si adattano a tutti. In poche righe infatti ci si imbatte in una straordinaria genericità che permette ad ognuno non solo di identificarsi nel segno descritto e ma anche di avere un approccio più sicuro e tranquillizzante con il prossimo visto che basta conoscere il suo segno zodiacale per avere un’idea di chi sia.
“Alcuni studi sulla percezione hanno infatti suggerito come la nostra mente interpreti e adatti alla nostra situazione ogni informazione che raccoglie. Nelle parole di un astrologo o tra le righe di un oroscopo si tenderà a cogliere inconsapevolmente tutte quelle affermazioni che meglio si possono adattare alla nostra situazione, ricordando in seguito solo quelle” [….]. Ma c’è anche un altro motivo per cui a volte sembra che gli oroscopi funzionino. Dipende dal fatto che chi ci crede inconsciamente si comporterà in modo da farli avverare. La predisposizione psicologica infatti, influenza a tal punto il nostro modo di vivere le situazioni da, talvolta, riuscire a modificare la realtà” (cit. Focus, vedi link in basso).
Non c’è nulla di male nell’ascoltare Paolo Fox oppure Branko che cercano di illuminare le nostre giornate attraverso parole che elargiscono consigli di buon senso e raccomandazioni sempre utili. Magari riescono nel frattempo anche ad indovinare ciò che ci interessa.
Ciò che conta però è non vivere in funzione dei nostri segni zodiacali o dei profili elaborati dagli astrologi: la nostra personalità nonché la nostra vita presente e futura non dipendono da loro o da astratti quadri astrali. L’unico modo corretto di approcciarvisi quindi è con ironia e distacco.
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Per saperne di più date un’occhiata ai siti consultati: