La felicità come condizione
«Io non mi sono mai rassegnata a pensare che non mi spettasse la felicità. Ci ho provato ogni giorno. Quando mi dicevano: “Tu che cosa vuoi fare nella vita”, rispondevo non lo so, ma voglio essere felice. Questo mi ha permesso di fare dieci lavori e di non smettere mai di essere felice.
Io avrei potuto insegnare tutta la vita. Sarei stata comunque la persona che sono.
Una cosa resta importante: riconoscere la felicità è una forma di intelligenza. Perché molte volte la felicità ti passa accanto e tu non capisci che quello è un momento felice. Perché sei troppo presa o stanca. Ho avuto fortuna perché il mio tipo di lavoro mi permette un’introspezione e delle pause in cui posso guardare me stessa dall’esterno e in cui capisco che il tempo che sto vivendo è probabilmente il tempo migliore della mia vita.
Io oggi dico: questo è il tempo migliore della mia vita. Visto da fuori non lo è: ho il cancro, ho il tempo contato, come tutti del resto, ma io ho il conto più breve. Dovrebbero essere elementi di non felicità. Ma invece non conta il cosa, conta il come. E in questo momento io posso scegliere il come».
Michela Murgia (1972-2023)

“Io non mi sono mai rassegnata a pensare che non mi spettasse la felicità”: non credo che vi sia altro da aggiungere. Le parole della Murgia sono chiare e precise: la felicità le spetta(va). Tuttavia mi domando cosa per voi sia la felicità. Anzi, per ognuno di noi. Anche voi (noi) credete che essa spetti a tutti?

Ne possiamo davvero fare a meno? Tentare di raggiungerla ci rende ogni giorno più forti e determinati anche perché siamo ben consapevoli della brevità del nostro esistere e della necessità di afferrarla senza sprecare del tempo prezioso.

La domanda che però mi faccio e faccio a tutti voi è la seguente: a cosa siete disposti per essere felici? Il tempo che ruolo gioca in tutto questo? Sapete essere pazienti? Fatemelo sapere nei commenti.
Maria Domenica Depalo



