I poveri di oggi

I poveri di oggi (e cioè coloro che costituiscono un “problema” per gli altri) sono prima di tutto e soprattutto dei “non consumatori”, più che dei “disoccupati”. Essi vengono definiti innanzi tutto dal fatto di essere consumatori difettosi: infatti, il più basilare dei doveri sociali cui vengono meno è il dovere di essere acquirenti attivi ed efficaci dei beni e servizi offerti dal mercato. […]

Il consumatore “difettoso”, chi dispone di risorse troppo scarse per rispondere adeguatamente all’appello, o più esattamente ai richiami seduttivi dei mercati, è gente di cui la società dei consumatori “non ha bisogno”; se non ci fosse, la società dei consumatori ne guadagnerebbe. […]

La società dei consumatori cresce rigogliosa finché riesce a rendere perpetua la non-soddisfazione dei suoi membri, e dunque la loro infelicità, per usare il suo stesso termine. Il metodo esplicito per conseguire tale effetto consiste nel denigrare e svalutare i prodotti di consumo poco dopo averli portati alla ribalta nell’universo dei desideri dei consumatori.

ZYGMUNT BAUMAN, Consumo, dunque sono

Le parole di BAUMAN ci portano a riflettere sulla possibile suddivisione degli esseri umani tra “ricchi consumatori-fruitori” e “poveri non consumatori-difettosi” e su una possibile ed ulteriore biforcazione della categoria umana in “attivi e passivi” del processo economico.

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È evidente come suddividere gli individui in tal modo sia fortemente limitante oltre che fuorviante. Tuttavia sembra proprio che il contesto socioculturale dell’era postmoderna nel quale siamo inseriti sia caratterizzato da un modo di vedere che tende sempre più ad “escludere”. Anche e soprattutto da un punto di vista economico e, a partire da questo, da quello umano.

Ma è giusto considerare l’uomo solo come consumatore? Cosa c’è dietro questa categorizzazione? Dietro c’è l’individuo con le sue prerogative, sogni, progetti ma anche delusioni, fallimenti e aspettative disattese.

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L’impossibilità di fruire di un bene materiale può essere causa di frustrazione oltre che di emarginazione in una società nella quale il possesso diviene manifestazione di uno status che in realtà non è benessere ma può essere anche solo manifestazione di vacuità.

Domandiamoci quindi anche quale visione di noi stessi possa produrre questo modo di “subire” un consumismo che, per quanto fondamentale per una buona salute dell’economia, in realtà può divenire cartina tornasole di un disagio che non può più restare celato ma diventa ogni giorno più importante.

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Questo perché le differenze sembrano avere sempre più peso e vanno a determinare il proprio sé ed il rapporto con gli altri.

Cosa ne pensate?

Maria Domenica Depalo

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