Food and mood

Food and Mood

Per l’argomento di questo mese devo ringraziare un video della BBC che mi ha letteralmente ispirata. In questo video i due speaker parlano infatti del legame tra cibo (food) ed umore (mood) ed è proprio questo il tema dal quale partiremo per la nostra riflessione.

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In realtà già alla fine del diciannovesimo secolo gli studiosi William James e Carl Lange avevano ipotizzato un legame stretto ed imprescindibile tra il nostro cervello e le nostre viscere mostrando, se pur ancora in modo implicito, il legame tra emozioni forti ed intense, quali possono essere la rabbia e l’ansia ed il nostro apparato gastro-intestinale.

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Numerosi studi attuali sembrano confermare infatti questo strettissimo legame tra il nostro  benessere mentale ed il cibo che assumiamo tutti i giorni.
D’altronde noi non siamo organismi autotrofi, come le piante, e quindi per reperire l’energia che ci serve dobbiamo nutrirci. Tuttavia, cosa succede quando viene ad instaurarsi un legame sbagliato tra il nostro stato d’animo ed il cibo?

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Senza entrare nello specifico dei DCA (disturbi del comportamento alimentare), basti pensare a cosa succede quando siamo tristi, in ansia o persino fin troppo felici. Ci ritroviamo a mangiare fin troppo o addirittura nulla con importanti e spesso pericolose conseguenze sulla nostra salute.
Attenzione, ognuno di noi ha un comfort food e può capitare che talvolta ci si abbuffi per una delusione oppure che non si mangi per tristezza. Questo però non deve diventare un’abitudine ossessiva.

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Lo diventa però quando tutto questo sottintende un senso di smarrimento generale, un senso di vuoto e di inadeguatezza che va assolutamente colmato.
In che modo? Intanto guardandosi dentro ed imparando ad accettare le proprie fragilità e debolezze e rivolgendosi anche ad un professionista in casi più gravi.

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La consapevolezza di sé tuttavia è il primo passo per migliorare il proprio rapporto con ciò che si mangia e vivere al meglio la relazione tra il cibo, noi stessi e chi ci circonda.
Anche coltivare sogni e cercare stimoli nuovi può aiutare a sviluppare una relazione più sana tra il cibo e chi siamo.
Porsi degli obiettivi, guardare con maggiore ottimismo verso il futuro, non essere soli può influenzare ciò che sentiamo dentro e quindi, conseguentemente il nostro legame con il cibo.

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D’altronde osservare il modo in cui ci approcciamo ad esso e capire come ci sentiamo in quel momento può essere l’inizio di un nuovo modo di rivedere la nostra vita.
Maria Domenica Depalo
Per saperne di più:   https://www.menshealth.com/it/salute/benessere-psicofisico/a60801300/cibo-emozioni-relazione-alimentazione-umore/

https://www.fitosofia.com/cibo-umore-migliore/

https://fuoritempofuoriluogo.com/2019/09/09/il-cibo-come-strumento-di-relazione/

https://youtu.be/fG7dJ6A3l7w?si=JqO0i-iBVmM44VrF

Pensiero divergente e convergente

In che modo ci relazioniamo alla realtà che ci circonda e ai problemi nei quali ci imbattiamo inevitabilmente tutti i giorni?
Qual è l’approccio giusto? Ce n’è uno solo o più di uno?                                                         Attenzione: questa volta non parleremo dell’atteggiamento, che è fondamentale, ma proprio della tipologia di pensiero e capacità di cogliere le relazioni e di elaborare possibili soluzioni.
Parleremo di due tipologie di pensiero: quello divergente e quello convergente.

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Il primo in particolare corrisponde alla capacità di elaborare non una ma molteplici e altrettanto possibili e valide soluzioni dinanzi ad un problema. Non sempre tali soluzioni potranno apparire conformi ed usuali. Spesso anzi potranno apparire originali ed inaspettate.
Si tratta quindi di un pensiero strettamente connesso alla creatività. Ad occuparsene, nella fattispecie ed approfonditamente, fu Guilford.

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Siamo alla fine degli anni sessanta del novecento quando Guilford sottolinea la differenza tra il pensiero divergente e quello  convergente, il quale a sua volta propone un approccio ai problemi più “tradizionale”, comportante quindi la formulazione di una sola soluzione o risposta. La scelta di tale risposta specifica appare la più logica ed immediata, nonché quella  “più meritevole e conveniente da perseguire di fronte a un problema o questione. Il pensiero convergente è caratterizzato quindi  dalla capacità di produrre risposte basate sulle regole d’inferenza logica e di strategie e conoscenze precedentemente apprese”.(tratto da https://www.stateofmind.it/2024/02/pensiero-divergente/ )

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Spesso associato ad un pensiero strettamente lineare e logico, il pensiero convergente viene associato alle materie scientifiche, mentre quello divergente a modalità di espressione artistica ed originale.
La creatività permette di andare al di là di quei rigidi schemi mentali che spesso sembrano guidare il modo con cui ci interfacciamo con la realtà per darci un nuovo modo di vedere le cose.
Attenzione: il pensiero divergente non è migliore di quello convergente e viceversa. Entrambi possono aiutarci, se pur in maniera diversa, nella risoluzione di alcune situazioni.
D’altronde il pensiero convergente ci mostra una via “sicura”, che rimane assolutamente preziosa.
I due tipi di pensiero si mostrano a noi nella loro complementarietà, pur mantenendo la loro specificità, e non ne possiamo fare a meno.
La scelta di un approccio dipende fondamentalmente dal nostro modo di voler affrontare dei problemi e, ovviamente, dalla situazione.

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Valorizzare la creatività ed il pensiero divergente appare importante perché soltanto dalla possibilità di scegliere quale pensiero utilizzare può dipendere la nostra capacità di risolvere, in un modo a noi favorevole, questioni in cui potremmo imbatterci.
“Il problema è stato che fino ad adesso, nell’apprendimento e nella scuola, si è dato quasi totalmente spazio al pensiero convergente, senza considerare forme di “apprendimento divergente”, e anzi, in molte caso, non valorizzando i soggetti che sembravano possedere naturalmente un’atteggiamento “divergente””. (tratto da https://www.guidapsicologi.it/articoli/creativita-e-pensiero-divergente)
Maria Domenica Depalo

Riscopriamo la scrittura

Riscopriamo la scrittura

La scuola ha ripreso il suo cammino e con essa sono ricominciate  anche le problematiche e le frenesie legate ai compiti, allo studio e alla vita di classe. Tuttavia quest’ultima non corrisponde soltanto ad un seguire in modo passivo le lezioni o ad un immergersi forsennato in pagine e pagine da leggere e imparare fedelmente: è qualcosa di più complesso.  È il luogo in cui acquisire strategie e modalità di socializzazione ma anche di apprendimento utili anche al di fuori della vita tra i banchi.

Ed una di queste modalità è la scrittura. Rispettare le righe e le lettere nella loro forma e dimensioni ma anche differenze però non è mai semplice. Tuttavia è necessario.

Ma andiamo per gradi.

Partiamo dalla realtà ipertecnologica nella quale siamo immersi. Appare evidente come l’uso dei dispositivi elettronici oltre ad incidere in maniera significativa sulle capacità relazionali dei ragazzi ( e non solo ma ne parleremo più avanti) influenzi le modalità di prendere appunti ma soprattutto incida sulle funzioni cerebrali.

Registrazioni, foto e PDF fanno sempre più da padroni ed è sempre più raro vedere qualcuno prendere appunti a mano. Peccato, perché scrivere a mano produce effetti benefici sull’acquisizione e sulla permanenza delle informazioni nella nostra memoria.

In particolare scrivere a mano contribuisce in maniera positiva sullo sviluppo cognitivo dei bambini e sull’acquisizione di competenze significative per l’evoluzione in toto.

Virginia Berninger, a professor of educational psychology at the University of Washington and the lead author on the study, told […] that “handwriting — forming letters — engages the mind, and that can help children pay attention to written language.” (tratto da https://archive.nytimes.com/well.blogs.nytimes.com/2016/06/20/why-handwriting-is-still-essential-in-the-keyboard-age/ )

Come emerge dal trafiletto, la docente Virginia Berninger, esperta di psicologia dell’educazione presso l’Università di Washington sottolinea ancora come la scrittura a mano – la formazione di lettere – coinvolga la mente e come questo possa aiutare i bambini a prestare attenzione al linguaggio scritto. (traduzione e rielaborazione del brano)

D’altronde l’apprendimento è un «complicato processo cerebrale» che mette insieme l’udito e la vista, con «l’apporto fondamentale delle operazioni della mano», afferma il professore Sabadini. (https://scuoladivita.corriere.it/2017/10/06/carta-e-penna-limportanza-della-scrittura/)

Avete mai fatto caso al fatto che quando scriviamo a mano, ricordiamo meglio? Fateci caso. Provate a scrivere la lista della spesa su un foglio di carta e poi a ripeterla a memoria qualche ora dopo. La ricorderete meglio rispetto ad un elenco scritto sul cellulare. Questo si spiega con il fatto che scrivere a mano richiede un’attenzione ai particolari, alle parole e alle lettere che altrimenti verrebbe trascurata.

Scrivere incide anche in maniera significativa sulla permanenza delle informazioni in memoria. Quando ad esempio impariamo una lingua straniera oppure apprendiamo la dimostrazione di un teorema matematico, trascrivere su foglio (anche più volte) contribuisce all’apprendimento.

Concludiamo queste riflessioni con le parole di una delle mie autrici preferite. Maestra elementare, donna estremamente sensibile ma concreta, Susanna Tamaro ha fatto sua la battaglia per il ritorno alla scrittura: Gli scrittori stanno diventando inutili, è la fine di un mondo. Però penso che tra i giovani nascerà il bisogno di parole vere, attraverso le quali conoscere la realtà: allora sarà una rinascita. […]Mi sembra che oggi siamo sommeC’è da fare un bel lavoro nelle scuole, bisogna tornare all’alfabetizzazione […]Essendo anche maestra elementare, è una mia battaglia: tornare a scrivere a mano. Io stessa scrivo a mano i libri. Purtroppo i giovani non hanno più fisicità, stanno quasi sempre seduti, immobili”, ha aggiunto con amarezza (tratto da https://www.tecnicadellascuola.it/susanna-tamaro-ce-da-fare-un-bel-lavoro-nelle-scuole-bisogna-tornare-allalfabetizzazione-a-scrivere-a-mano ).

E voi scrivete a mano?

Maria Domenica Depalo

P.S. fonte delle immagini pixabay.com

Chi sta salvando il mondo?

Chi sta salvando il mondo?

«Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che premedita un colore e una forma. Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto. Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo

(Jorge Luis Borges – I giusti)

Jorge Luis Borges (fonte immagine: Wikipedia)

Credo che le parole di Borges siano sufficientemente esaustive e che non sia necessario parafrasarne il pensiero.        Tuttavia esse meritano una riflessione: stiamo davvero salvando il mondo oppure, chiusi nel nostro individualismo ed egoismo, semplicemente ignoriamo l’altro?

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In che misura la nostra persona, nella relazione con sé stessa e con gli altri, incide sullo scorrere dell’esistenza altrui e della salvezza della realtà che condivide?

Credete (crediamo) davvero che la nostra stessa persona possa influenzare la vita altrui salvandola? Oppure è solo un’illusione?

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Cosa ci salverà? La presenza reale oppure l’assenza camuffata da ipocrita attenzione?

I tipi umani mostrati dal filosofo argentino sono una rappresentazione di una chiusura nel proprio mondo personale oppure una manifestazione di una forma di rispetto che è accettazione dell’altro e del suo esistere? “Ignorare” il prossimo nella sua diversità può essere un modo per salvare tutti noi?

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Cosa ne pensate? Scrivetelo nei commenti.

Maria Domenica Depalo

Accumulatori seriali benvenuti

Accumulatori seriali e dove trovarli? Libri, dépliant, matite dell’ikea, guide turistiche, mappe e chi più ne ha più ne metta: nulla sfugge agli occhi e alle mani veloci di chi pensa che tutto potrebbe tornare utile o addirittura essere necessario ed indispensabile al vivere quotidiano.

Accumuliamo ed accumuliamo ma poi quando si tratta di disfarci dell’inutile perché di quello si tratta (tranne quando si parla di libri) oppure perché consapevoli che siamo in presenza dell’eccessivo, allora sorgono i problemi.

Una strana ansia divampa in noi, un terrore di essere privati di qualcosa di essenziale come se fosse un arto o peggio. Perché però accade questo? Cosa si nasconde nell’arte-ossessione di accumulare?

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Conservare degli oggetti come ricordo è una pratica del tutto normale. Anche se sono vecchi, rotti o non più utili, possono rappresentare un legame con una persona che non è più presente o con un momento significativo della nostra vita. Tuttavia, quando il desiderio di trattenere questi oggetti senza disfarsene (o l’acquisto di nuovi oggetti senza utilizzarli) arriva a interferire con le attività quotidiane, come l’igiene personale, la pulizia della casa o il riposo, questo atteggiamento diventa patologico. Si tratta di un disturbo noto come disposofobia, che indica una vera e propria condizione di accumulo compulsivo. (https://www.humanitas.it/news/accumulatore-seriale-quali-sono-le-cause-della-disposofobia/)

Vi è mai capitato di guardare in TV quei programmi dedicati proprio a chi soffre di questa patologia? Qual è la prima cosa che emerge osservando queste persone? Sicuramente una grandissima solitudine, una sensazione di vuoto che si tenta di colmare con degli oggetti che assumono quel ruolo di sostituti di figure umane, parenti, amici o conoscenti con cui ogni rapporto sembra ormai chiuso ed inesistente.

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Si accumula perché “potrebbe servire”. Ogni cosa viene conservata e staccarsene diventa un problema perché “non si sa mai”. I dépliant, gli scontrini, le pubblicità che troviamo nelle nostre cassette postali vanno ad assumere un valore che oltrepassa quello effettivo e reale per assumerne uno nuovo e personalissimo. Le conseguenze possono essere importanti anche a livello logistico: le stanze si riempiono sempre più con inevitabili conseguenze anche a livello personale. Persino l’igiene individuale viene messa a dura prova visto che qualsiasi cosa che vada ad occupare spazi, priva le persone del proprio spazio vitale e della propria capacità di espressione.

Si crea così uno sbilanciamento tra il materiale che “esce” (quasi nulla / nulla) e quello che “entra” perché acquistato o raccolto in giro (volantini, bustine di zucchero, giornali, vestiti, cibo, in alcuni casi animali). Nel tempo questo determina il progressivo ingombro di tutti gli spazi disponibili inclusi quelli vitali per cucinare, dormire, lavarsi determinando in ultimo l’impossibilità a svolgere le normali attività quotidiane. La gravità del comportamento di accumulo può essere valutata con differenti scale. Questo meccanismo determina un circolo vizioso con gravissimi impatti sulla persona ed i suoi familiari. La casa progressivamente non è più adatta a svolgere le sue funzioni, vi è una riduzione e talvolta un crollo del funzionamento lavorativo e sociale. Spesso sorgono problemi economici per le eccessive spese, i mancati guadagni o la mancata amministrazione dei propri beni. Vi è un progressivo isolamento ed anche i rapporti con i familiari diventano sempre più difficili, caratterizzati spesso da rabbia e vergogna. Si tratta quasi sempre di una spirale discendente che determina specie in età avanzata ulteriori problemi. La persona non accetta di far entrare nessuno nei propri ambienti per effettuare delle riparazioni, gli spazi si deteriorano ulteriormente con gravi problemi igienici, il materiale accumulato inoltre crea rischi di cadute e di incendio. Si determinano situazioni di conflittualità con il vicinato.  (https://www.disposofobia.org/)

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L’unico modo per uscirne è la terapia. Soltanto l’intervento di uno specialista del comportamento e, nei casi più gravi, l’assunzione di farmaci possono aiutare queste persone ad uscire da una situazione di gravissimo disagio e difficoltà, una situazione che rivela delle problematiche più profonde e di cui, forse, si potrebbe anche non essere consapevoli.

Si può uscire da questo inferno.

Maria Domenica Depalo

In fondo non è poi così urgente: l’arte della procrastinazione.

“In fondo non è poi così urgente…questa cosa può attendere. Non c’è fretta”.

Quante volte ci capita di progettare, organizzare e decidere di fare qualcosa ma poi, all’improvviso, rimandiamo accampando le scuse più varie ed assurde e pronunciando tali frasi.

“Ho deciso che da domani farò ogni giorno una corsa al parco ma mi sa che dovrò rimandare l’attività fisica alla prossima settimana… Il colonnello ha detto che pioverà” .

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Ci siamo però mai chiesti il motivo reale per il quale agiamo in questo modo? Perché procrastiniamo?

Intanto cerchiamo di conoscere l’etimologia del lemma “procrastinare“. Esso deriva dalle parole latine pro (a vantaggio di) e dall’aggettivo di prima classe crastinus (di domani/del futuro). Eccone quindi spiegata l’intima natura. Legata ad uno spostare ideale ed immaginario in avanti ed in direzione di un indefinito futuro, la procrastinazione rimanda la realizzazione di un progetto.

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Ma si tratta davvero solo di un rimandare a tempi più favorevoli o forse è solo un modo per evitare ciò che avremmo dovuto fare? Attraverso l’atto stesso di “spostare”, celiamo soltanto la nostra pigrizia ed indolenza?

E nel frattempo ci dedichiamo ad altro. Ma questo “altro” è davvero così urgente e necessario o più semplicemente è un alibi che ci aiuta a nascondere le nostre paure ed emozioni più recondite, celate in quello che non abbiamo portato a termine?

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In un interessante articolo, letto tempo addietro e che vi indicherò in basso, viene posto l’accento su alcune delle cause più comuni della procrastinazione. Io però mi soffermerò soltanto su una di esse: la paura del successo.


[…]rimandi per il timore delle conseguenze che possono avere i tuoi successi, ad esempio sul lavoro. Dal momento in cui ti riesce bene una cosa, di riflesso aumenteranno anche le aspettative che gli altri ripongono su di te (ma anche quelle che ti crei tu). Per questo piuttosto che affrontare la situazione, preferisci tirarti indietro e posticipare l’impegno a chissà quando. (da http://www.riza.it. Vedi link in basso per ulteriori informazioni e curiosità)

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Paradossalmente sono le aspettative a spaventarci, quelle degli altri ma soprattutto le nostre. Abbiamo paura dei nostri stessi sogni e di quello che potrebbero comportare.

Il sogno d’altronde rimanda all’ineffabile, a qualcosa da inseguire e raggiungere. Ma questo non sempre è possibile. Ragion per cui tendiamo a tenere lontano da noi possibili delusioni e sconfitte allontanando i nostri progetti.

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Procrastiniamo per non realizzare ma soprattutto per paura di ciò che sentiamo o che potremmo percepire.

E voi cosa ne pensate?

Link:

https://www.riza.it/psicologia/l-aiuto-pratico/7723/lo-faccio-domani-procrastinare-come-stile-di-vita.html

https://www.dizionario-latino.com/dizionario-latino-italiano.php?lemma=CRASTINUS100

Maria Domenica Depalo

Un po’ di sano egoismo non guasta mai

“Pensi sempre e solo a te! Non t’importa degli altri.” Quante volte ci è capitato di ascoltare o addirittura di pronunciare tali parole con foga e convinzione.

Siamo soliti infatti attribuire al termine “egoismo” un’accezione ed un significato profondamente negativi. Ma siamo proprio sicuri che sia corretto al cento per cento?

Nessuno mette in dubbio il fatto che la persona egoista sia colei che ignora chi la circonda concentrandosi solo su sé stessa e sulle proprie esigenze, disinteressandosi quindi totalmente di quelle degli altri.

Ma siamo certi che sia sempre così sbagliato pensare alle proprie necessità? Non sarebbe più corretto parlare dell’esistenza anche di una forma di egoismo corrispondente in realtà ad una presa di coscienza e consapevolezza della propria persona ed individualità, nonché del proprio valore?

“Senza egoismo l’autostima non c’è. È ovvio che può diventare problematico quando diventa la caratteristica principale di una personalità ma allo stesso tempo anche l’eccesso di altruismo può diventare dannoso e negativo”. (cit. di Matteo Merigo, psicologo e psicoterapeuta da fanpage.it)

Essere troppo altruisti e disponibile può in effetti portare a risvolti negativi, non soltanto per quanto riguarda le proprie relazioni ma anche e soprattutto per quanto concerne la propria persona intesa come individuo. Attenzione perché parliamo di individuo e non di individualismo.

L’autoreferenzialità del resto viene disgiunta dall’altruismo ma allo stesso tempo non può non essere legata alla ricerca e al raggiungimento del proprio IO e del proprio equilibrio interiore.

Dare spazio a se stessi è assolutamente fondamentale oltre che necessario. Si tratta infatti di una forma di egoismo che in realtà è ricerca di sé e di ciò che ci determina e che va salvaguardato.

Essere in grado di dire di no e di dare spazio ai propri progetti è un diritto imprescindibile del quale nessuno può fare a meno e di cui non si può essere privati perché ci permette di raggiungere un benessere personale ed individuale che può portarci anche ad aprirci agli altri e di mostrarci ma soprattutto essere altruisti.

Paradossalmente l’egoismo, inteso come attenzione e cura di sé, può essere quindi concepito come precondizione di quella forma alta e preziosa di attenzione per l’altro che è l’altruismo.

Voi cosa ne pensate? Scrivetelo nei commenti.

Link per saperne di più:

https://www.fanpage.it/stile-e-trend/benessere/perche-essere-egoisti-a-volte-fa-bene-quanto-e-importante-imparare-a-riconoscere-i-propri-bisogni/

Maria Domenica Depalo

Vampiri energetici

Vampiri energetici

Spesso, volenti o nolenti, siamo circondati da persone negative e tossiche, incapaci di contribuire in modo positivo alla nostra crescita ed evoluzione personali. Esse infatti sono in grado di incupire il nostro animo, privandolo dell’energia necessaria per vivere ed accrescere in ampiezza, profondità e significato.

Stiamo parlando dei “vampiri energetici”. Come avrete intuito, il riferimento alla figura del vampiro non è casuale: come il vampiro dei miti tradizionali si nutre del sangue per garantire a se stesso l’immortalità e la vita, così il vampiro energetico priva di linfa vitale la povera vittima predestinata che si ritrova infatti svuotata di energia e smarrita.

Gotico, Fantasia, Buio, Vampiri, Coppia
tratto da pixabay.com

I vampiri energetici sono individui estremamente negativi, incapaci di vivere in maniera serena e sana il rapporto con gli altri che riempiono con le loro frustrazioni e cupezze interiori. Coloro che hanno fatto esperienza di frequentazione con queste persone non potranno che confermarlo e sottoscriverlo.

Purtroppo chiunque può essere un vampiro energetico: spesso anche un parente, un amico o il proprio partner. Ma cerchiamo di scoprirne le caratteristiche:

  1. Estremamente autoreferenziali e pieni di sé, i vampiri energetici riversano sugli altri la propria negatività ed il proprio malessere,accusandoli delle loro sfortune;
  2. Ogni cosa è fonte di critica e di lamento;
  3. Nulla sembra essere soddisfacente;
  4. Ogni cosa assume i contorni della negatività e della pesantezza;
  5. Ottimi affabulatori, riescono a conquistare le loro vittime mostrando inizialmente interesse nei loro confronti ma solo per conquistarli e trasformarli nei destinatari del proprio malessere.
Terrorista, Terrore, Siate Felici
tratto da pixabay.com

Appare inevitabile essere influenzati da questi individui. Una volta venuti a contatto con loro, essi determinano il corso della nostra vita incidendo anche sul nostro umore e stato d’animo con gravissime conseguenze sul nostro equilibrio fisico e mentale. Per salvarsi è fondamentale riconoscere il “nemico” e tenersi lontano da lui. Importante a tal proposito appare la necessità di salvaguardare la propria energia e vitalità erigendo un vero e proprio muro difensivo contro tali personalità.

Ricordiamo che meritiamo di meglio e questo implica essere circondati da chi porta positività e bellezza.

Per saperne di più, cliccate sui seguenti link:

Chi sono i vampiri energetici o emotivi? 10 segni evidenti e come affrontarli

https://www.elle.com/it/emozioni/psicologia/a22314799/vampiri-energetici-chi-sono/

https://psicoadvisor.com/18-caratteristiche-dei-vampiri-energetici-2471.html#:~:text=Caratteristiche%20dei%20vampiri%20energetici%201%29%20Chiedono%20un%20parere,le%20cose%20positive%20e%20ingrandiscono%20tutte%20le%20negative

Maria Domenica Depalo

Le priorità

Le priorità

Ciò che penso, semplicemente, è che, una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l’esistenza finisce col perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature. (cit. tratta da L’arte di correre (Torino, Einaudi 2007) di HARUKI MURAKAMI)

Travolti da continui stimoli, impegni, riflessioni ed idee spesso e volentieri perdiamo di vista ciò che maggiormente dovrebbe contare per noi. Ecco perché approfitteremo di questo spazio per riflettere proprio sulle nostre priorità.

Timbro, Priorità, Preferenza, Speciale
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Tante cose contano e sono importanti. Tuttavia è necessario operare delle scelte in modo da poterci dedicare con maggiore attenzione ai nostri obiettivi e progetti ed evitare di disperdere quell’energia che potremmo impiegare diversamente ed in maniera più produttiva. Occam direbbe di usare un rasoio per cancellare dal nostro panorama il superfluo e cogliere l’essenziale ma di questo filosofo parleremo in seguito, se lo vorrete.

Non esiste ovviamente un elenco unico e valido per tutti semplicemente perché siamo ognuno diverso dall’altro. Per qualcuno la priorità è il lavoro, per un’altra persona è la famiglia, per qualcuno è viaggiare o semplicemente leggere per nutrire il proprio spirito.

Carte, Priorità, Importanza, Ispirazione
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Personalmente aborro tutti quegli articoli che cercano di mostrare cosa è più importante realizzare o cosa non lo è affatto anche perché, nella loro faziosità, sembrano quasi voler suggerire proprio quell’omologazione tra le persone che va a cancellare la propria individualità.

Tuttavia…Giungiamo alla questione fondamentale.

Quali sono le vostre priorità? Ma soprattutto coincidono con i vostri sogni, con quelli del passato e con quelli attuali? E se non fosse così?

Scrivere, Positivo, Motivazione
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Link:

https://www.libriantichionline.com/divagazioni/haruki_murakami_nella_vita_necessario_stabilire_priorita

https://lamenteemeravigliosa.it/stabilire-le-priorita-benessere/

Maria Domenica Depalo

“Mi leggeresti una favola?”

“Mi leggeresti una favola?”

Quante volte da piccoli abbiamo chiesto ai nostri genitori o ai nonni di leggerci una favola. A me personalmente piaceva molto il modo in cui riuscivano a “rendere” i personaggi tramite toni singolari ed espressioni talvolta bizzarre e divertenti. Confesso che ancora oggi, quando mi capita di leggere ad alta voce una favola, spesso e volentieri cerco di immaginare e di riprodurre le voci dei loro protagonisti ripensando proprio alla mia infanzia e al clima che si veniva a creare in quei momenti.

Tuttavia nel tempo le cose sono “leggermente” cambiate. Recentemente infatti ho letto un breve articolo, del quale indicherò il link alla conclusione della riflessione, che mi ha incuriosita e sul quale vorrei una vostra riflessione.

“1 genitore su 4 chiede ad Amazon Alexa di leggere una favola della buonanotte al posto suo“: il titolo, nella sua chiarezza, porta immediatamente ad una prima riflessione. Perché un genitore dovrebbe far affidamento ad un dispositivo elettronico per leggere una favola? La lettura di una storia non dovrebbe essere un prezioso momento di condivisione da trascorrere con il proprio bambino?

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Attenzione: il problema non è dato da “Alexa” che può in effetti rivelarsi uno strumento utile ma dal rischio di spersonalizzazione e di straniamento legato ad un suo uso come sostituto di una figura parentale o familiare in un momento così prezioso. D’altro canto sembra di affrontare di nuovo un discorso simile a quello relativo all’abuso della televisione ed ora “esteso” all’utilizzo dello smartphone, del computer e dei dispositivi elettronici.

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Ma cerchiamo di addentrarci con maggiore attenzione nell’articolo che appare davvero interessante nei suoi contenuti. Sembra che su 1000 genitori intervistati circa il 30% faccia ricorso a questo dispositivo per leggere una storia ai propri bambini. Certo, è consolante sapere che il rimanente 70% ricorra al “classico” libro ma mi soffermerei di più sul perché si faccia ricorso ad Alexa.

Francesca Simon, autrice americana di libri per ragazzi, afferma: “In questa maniera si trasmette ai figli il messaggio ‘i libri non sono importanti per me’. E’ davvero questo il messaggio che vogliamo passare? Io non credo alla scusa del ‘non ho tempo’. La vera motivazione è semplicemente pigrizia, stanchezza o mancanza di voglia”. (cit.)

La Simon pone l’accento su due aspetti fondamentali da cui discendono le relative inevitabili conseguenze: il primo è la pigrizia mentre il secondo è la scarsa attenzione attribuita ai libri.

Pensiamoci: siamo davvero così stanchi da non riuscire neppure a trascorrere qualche minuto con i nostri figli raccontando una storiella (se proprio non ci va di leggere una favola)? E poi, come possiamo pretendere che i nostri piccoli amino i libri se noi per primi non diamo loro il buon esempio leggendone uno?

Fatemi sapere cosa ne pensate. In basso vi lascio il link con l’articolo del quale vi ho parlato e da cui è tratta la citazione.

Link:

Maria Domenica Depalo