In fondo non è poi così urgente: l’arte della procrastinazione.

“In fondo non è poi così urgente…questa cosa può attendere. Non c’è fretta”.

Quante volte ci capita di progettare, organizzare e decidere di fare qualcosa ma poi, all’improvviso, rimandiamo accampando le scuse più varie ed assurde e pronunciando tali frasi.

“Ho deciso che da domani farò ogni giorno una corsa al parco ma mi sa che dovrò rimandare l’attività fisica alla prossima settimana… Il colonnello ha detto che pioverà” .

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Ci siamo però mai chiesti il motivo reale per il quale agiamo in questo modo? Perché procrastiniamo?

Intanto cerchiamo di conoscere l’etimologia del lemma “procrastinare“. Esso deriva dalle parole latine pro (a vantaggio di) e dall’aggettivo di prima classe crastinus (di domani/del futuro). Eccone quindi spiegata l’intima natura. Legata ad uno spostare ideale ed immaginario in avanti ed in direzione di un indefinito futuro, la procrastinazione rimanda la realizzazione di un progetto.

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Ma si tratta davvero solo di un rimandare a tempi più favorevoli o forse è solo un modo per evitare ciò che avremmo dovuto fare? Attraverso l’atto stesso di “spostare”, celiamo soltanto la nostra pigrizia ed indolenza?

E nel frattempo ci dedichiamo ad altro. Ma questo “altro” è davvero così urgente e necessario o più semplicemente è un alibi che ci aiuta a nascondere le nostre paure ed emozioni più recondite, celate in quello che non abbiamo portato a termine?

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In un interessante articolo, letto tempo addietro e che vi indicherò in basso, viene posto l’accento su alcune delle cause più comuni della procrastinazione. Io però mi soffermerò soltanto su una di esse: la paura del successo.


[…]rimandi per il timore delle conseguenze che possono avere i tuoi successi, ad esempio sul lavoro. Dal momento in cui ti riesce bene una cosa, di riflesso aumenteranno anche le aspettative che gli altri ripongono su di te (ma anche quelle che ti crei tu). Per questo piuttosto che affrontare la situazione, preferisci tirarti indietro e posticipare l’impegno a chissà quando. (da http://www.riza.it. Vedi link in basso per ulteriori informazioni e curiosità)

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Paradossalmente sono le aspettative a spaventarci, quelle degli altri ma soprattutto le nostre. Abbiamo paura dei nostri stessi sogni e di quello che potrebbero comportare.

Il sogno d’altronde rimanda all’ineffabile, a qualcosa da inseguire e raggiungere. Ma questo non sempre è possibile. Ragion per cui tendiamo a tenere lontano da noi possibili delusioni e sconfitte allontanando i nostri progetti.

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Procrastiniamo per non realizzare ma soprattutto per paura di ciò che sentiamo o che potremmo percepire.

E voi cosa ne pensate?

Link:

https://www.riza.it/psicologia/l-aiuto-pratico/7723/lo-faccio-domani-procrastinare-come-stile-di-vita.html

https://www.dizionario-latino.com/dizionario-latino-italiano.php?lemma=CRASTINUS100

Maria Domenica Depalo

La letteratura ed i libri salvano sempre.

Espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge.
E alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a scuola senza protezioni, lo scenario è diverso, devono imparare a vedere che cosa sanno fare senza protezione. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell’indolenza che vediamo in età adulta.
E la si finisca con l’alternanza scuola lavoro, a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? E’ folle.
Guardiamo sui treni: mentre in altri Paesi i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole? Non si pensa o si pensa poco se non si hanno le parole”.

Umberto Galimberti

Le parole evidentemente provocatorie di Umberto Galimberti ci portano a riflettere su una serie di aspetti come ad esempio il ruolo dei genitori nella scuola. Indubitabile e fondamentale, la loro presenza talvolta sembra stridere nel momento in cui il docente svolge una funzione che viene interpretata come punitiva ma che in realtà si configura come educativa. I ragazzi devono avere l’opportunità di crescere, commettere errori e maturare ma soprattutto di diventare adulti consapevoli.

A colpirmi particolarmente è questo passaggio “a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio”.

Appare evidente come Galimberti si scagli contro l’imperare delle tecnologie e di una digitalizzazione che sembra prendere sempre più piede a discapito di una dimensione, quale quella umana, di cui spesso si fanno portavoce i libri.

D’altronde essi aiutano a sviluppare una coscienza e, con le parole, a formulare i pensieri. E non è una cosa scontata.

Voi cosa ne pensate?

Maria Domenica Depalo

I poveri di oggi

I poveri di oggi (e cioè coloro che costituiscono un “problema” per gli altri) sono prima di tutto e soprattutto dei “non consumatori”, più che dei “disoccupati”. Essi vengono definiti innanzi tutto dal fatto di essere consumatori difettosi: infatti, il più basilare dei doveri sociali cui vengono meno è il dovere di essere acquirenti attivi ed efficaci dei beni e servizi offerti dal mercato. […]

Il consumatore “difettoso”, chi dispone di risorse troppo scarse per rispondere adeguatamente all’appello, o più esattamente ai richiami seduttivi dei mercati, è gente di cui la società dei consumatori “non ha bisogno”; se non ci fosse, la società dei consumatori ne guadagnerebbe. […]

La società dei consumatori cresce rigogliosa finché riesce a rendere perpetua la non-soddisfazione dei suoi membri, e dunque la loro infelicità, per usare il suo stesso termine. Il metodo esplicito per conseguire tale effetto consiste nel denigrare e svalutare i prodotti di consumo poco dopo averli portati alla ribalta nell’universo dei desideri dei consumatori.

ZYGMUNT BAUMAN, Consumo, dunque sono

Le parole di BAUMAN ci portano a riflettere sulla possibile suddivisione degli esseri umani tra “ricchi consumatori-fruitori” e “poveri non consumatori-difettosi” e su una possibile ed ulteriore biforcazione della categoria umana in “attivi e passivi” del processo economico.

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È evidente come suddividere gli individui in tal modo sia fortemente limitante oltre che fuorviante. Tuttavia sembra proprio che il contesto socioculturale dell’era postmoderna nel quale siamo inseriti sia caratterizzato da un modo di vedere che tende sempre più ad “escludere”. Anche e soprattutto da un punto di vista economico e, a partire da questo, da quello umano.

Ma è giusto considerare l’uomo solo come consumatore? Cosa c’è dietro questa categorizzazione? Dietro c’è l’individuo con le sue prerogative, sogni, progetti ma anche delusioni, fallimenti e aspettative disattese.

https://pixabay.com/it/photos/depressione-uomo-rabbia-tristezza-2912404/
https://pixabay.com/

L’impossibilità di fruire di un bene materiale può essere causa di frustrazione oltre che di emarginazione in una società nella quale il possesso diviene manifestazione di uno status che in realtà non è benessere ma può essere anche solo manifestazione di vacuità.

Domandiamoci quindi anche quale visione di noi stessi possa produrre questo modo di “subire” un consumismo che, per quanto fondamentale per una buona salute dell’economia, in realtà può divenire cartina tornasole di un disagio che non può più restare celato ma diventa ogni giorno più importante.

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Questo perché le differenze sembrano avere sempre più peso e vanno a determinare il proprio sé ed il rapporto con gli altri.

Cosa ne pensate?

Maria Domenica Depalo

Link:

https://fuoritempofuoriluogo.com/2019/01/09/empatia-lio-come-laltro/

Festa del cioccolato a Bari

Festa del cioccolato a Bari

Amanti del cioccolato, croce e delizia di noi golosoni, compagno fidato su cui poter fare affidamento nei momenti più lieti ma anche in quelli più disperati, produttore naturale di buon umore ma anche causa di carie (quindi occhio!): finalmente è tornato a Bari il festival dedicato a questo piacere proibito, ma in realtà ben accessibile a tutti.

Parliamo della Festa del cioccolato che avrà luogo a Bari in Piazza Umberto da venerdì 10 novembre a domenica 12 novembre.

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Profumato, delicato ma anche deciso nel suo sapore, unico nella varietà dei colori e forme, il cioccolato rappresenta l’essenza stessa del piacere da gustare pian piano.
Liscio in superficie, senza imperfezioni o increspature, inebriante del profumo di cacao, capace di assumere molteplici forme ed aspetti (come vedremo a Bari), da non mordere avidamente ma da sciogliere delicatamente e lentamente in bocca in modo da coglierne fragranze, sapori ed aromi, è sempre pronto ad essere colto ed abbracciato nella sua totalità.

Ricco di feniletilamina, fondamentale nella regolazione dei nostri stati d’animo, ricco anche di triptofano alla base della sintesi della serotonina, ormone del buonumore, sembra proprio che il consumo di cioccolato possa aiutarci nei momenti di maggior tristezza e smacco.

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Insomma è nei momenti in cui ci sentiamo più sconfortati che mai che assaggiamo il primo di una lunga serie di cioccolatini per stare meglio. E a darci ragione e supporto, soprattutto quando il senso di colpa sembra pervaderci, è proprio la scienza.

Secondo la dottoressa Sarah Jackson, il consumo di cioccolato, in particolare quello fondente contribuisce a ridurre l’insorgenza dei sintomi della depressione. Il cacao da cui otteniamo la “bevanda degli dei”, secondo gli Incas, contiene infatti piccole quantità di salsolinolo e salsolina che sarebbero proprio degli antidepressivi naturali.

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Gli esperti dell’University College London, della University of Calgary e dell’Alberta Health Services Canada affermano che il cioccolato fondente può arrivare a ridurre il rischio di depressione di ben 4 volte: se il 7,6% di un campione di 13.626 persone studiate proveniente dalla Us National Health and Nutrition Examination Survey risulta soffrire del male di vivere, questa percentuale cala a solo l’1,5% fra chi mangia regolarmente cioccolato, fondente per la precisione (tratto da https://www.milleunadonna.it/benessere/articoli/Cioccolato-terapeuticorischi-depressione).

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Allora non resta che gustarlo facendoci avvolgere dal suo profumo, sapore, gusto ma soprattutto essenza che è quella della piacevolezza.

Senza esagerare però.

Maria Domenica Depalo

P.S.: ecco alcuni link che potranno tornarvi utili

https://fuoritempofuoriluogo.com/tag/festedelcioccolato/

https://fuoritempofuoriluogo.com/tag/festedelcioccolato/

https://www.telebari.it/spettacoli/132201-dalle-praline-ai-gianduiotti-torna-a-bari-la-festa-del-cioccolato-stand-e-degustazioni-in-piazza-umberto-dal-10-al-12-novembre.html

https://www.lacucinaitaliana.it/news/salute-e-nutrizione/perche-il-cioccolato-ci-mette-di-buon-umore/#:~:text=La%20serotonina&text=Uno%20dei%20principali%20motivi%20per,corpo%20per%20sintetizzare%20la%20serotonina

https://www.milleunadonna.it/benessere/articoli/Cioccolato-terapeuticorischi-depressione

Basta con la guerra

Basta con la guerra

Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare
preparare la tavola,
a mezzogiorno.

Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.

Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte
né per mare né per terra:
per esempio, LA GUERRA

-Gianni Rodari

fonte della foto Facebook

Tik Tok ai tempi della scuola

Tik Tok ai tempi della scuola


Volete migliorare il vostro inglese? Avete bisogno di un ripasso di latino e greco o di fisica? Volete imparare l’arabo? Allora i social fanno proprio per voi.


Premesso che niente e nessuno potrà mai sostituire la “buona” scuola ed un manuale, tuttavia a salire alla ribalta ultimamente in tal senso è proprio uno dei social più noti e discussi, cioè Tik Tok.

Sandro Marenco, Vincenzo Schettino e Norma di Norma’s teaching sono soltanto alcuni degli influencer più noti che sono riusciti a trasformare questa piattaforma in una realtà divertente e coinvolgente anche da un punto di vista didattico.

Parliamo di Tiktoker o “content-creator” ma soprattutto di insegnanti in grado di trasmettere non solo informazioni e nozioni utili ma soprattutto la passione per la propria disciplina.
In che modo? Attraverso la chiarezza e la semplicità.

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Non è da tutti infatti spiegare la “frequenza” delle onde facendo riferimento alla musica, come fa Schettini oppure proporre delle canzoni di Adele o dei Queen per migliorare l’inglese.

Da insegnante (o aspirante tale visto l’andazzo nel nostro belpaese tra crediti e varie), non posso non sentirmi coinvolta da questo modo nuovo di insegnare e di approcciarsi ad una platea di studenti di età diverse, con un proprio background culturale ma tutti accumunati dal desiderio di imparare e conoscere.

Photo by ThisIsEngineering on Pexels.com


Per quanto mi riguarda, ho iniziato ad studiare spagnolo e arabo grazie a Egness e a Maha Yacoub (sono ovviamente solo agli inizi) e ad approfondire alcuni temi legati alla storiografia e alla filosofia grazie a Matteo Saudino (deformazione professionale, la mia). Ovviamente non mi sono fermata qui.

Ultimamente mi sono appassionata anche alle lezioni di fisica di Vincenzo Schettini, che io adoro. A colpirmi in primis la sua umanità e la sua empatia e poi il suo modo semplice e diretto di spiegare concetti altrimenti ostici, facendo riferimento alla realtà quotidiana ed usando un linguaggio immediato.

Insomma un uso diverso, attento e decisamente più intelligente dei social che da contenitori vacui possono assumere l’aspetto e la sostanza di contenitori ricchi di senso.
Voi cosa ne pensate?


Intanto allego alcuni link che potrebbero tornarvi utili.


https://www.tiktok.com/@normasteaching?_t=8eCr6Uuhbfm&_r=1


https://www.tiktok.com/@lafisicachecipiace?_t=8eCrCSa908p&_r=1


https://www.tiktok.com/@barbasophia?_t=8eCrGZkxfcR&_r=1


Maria Domenica Depalo


Ma che ansia la scuola!!!

Ma che ansia la scuola!!!!

Leggere, scrivere, fare i compiti ma soprattutto imparare: bambini, ragazzi e genitori ormai l’anno scolastico è nel pieno del suo svolgimento. Certo, ci sono i compiti e le interrogazioni, i compagni con cui confrontarsi ma soprattutto c’è la voglia di farcela.

Tuttavia spesso e volentieri fa capolino un nemico, inaspettato ma subdolo, qualcuno da affrontare però con consapevolezza e mai da soli. Parliamo dell’ansia scolastica.

Provare preoccupazione è assolutamente naturale ed umano ma quando la paura di non essere capaci e di essere giudicati dalle maestre e dai compagni ma soprattutto dai genitori diventa insostenibile, possiamo parlare di ansia.

L’ansia di frequentare la scuola non conosce età anche se è possibile notare come raggiunga picchi in alcuni momenti cruciali del percorso scolastico:
– Tra i 5 e i 7 anni, all’inizio della scuola primaria.
– Tra i 10 e gli 11 anni con l’inizio della scuola secondaria di I°grado.
– Tra i 13 e i 14 anni con l’inizio della scuola secondaria di II° grado. (tratto da https://www.stateofmind.it/2017/05/ansia-scolastica/)

Come negli adulti, anche negli studenti l’ansia può essere associata a disturbi di tipo psico-somatico da non sottovalutare come il mal di testa ed il mal di pancia, la nausea ed il vomito, il respiro affannoso ma anche la febbre.

Tra i sintomi psicologici e comportamentali […] ricordiamo: pianto, ira e collera, crisi di panico all’ingresso della scuola, difficoltà ad addormentarsi e mente offuscata. […] Alcuni studi, effettuati sui gemelli, suggeriscono la presenza di una vulnerabilità biologica e genetica (Fyer, A. J., et al., 1995). Tra i fattori esperienziali, invece, il timore dell’insegnante, la paura di avere brutti voti a scuola, lo scarso rendimento scolastico, esperienze di maltrattamenti ed episodi di bullismo, possono influire nell’insorgenza del disturbo. Alla base del disturbo, inoltre, possono essere riconosciute altre cause, come la dipendenza del figlio dalla madre e atteggiamenti materni di iperprotezione (Martin et al., 1999), che scatenano nel bambino l’ansia da separazione. (tratto da https://istitutosantachiara.it/ansia-scolastica/#:~:text=Tra%20i%20sintomi%20psicologici%20e,che%20possono%20favorire%20questo%20disturbo)

Ma come possiamo intervenire per porre fine a questa sensazione? Possiamo provare ad adottare delle strategie semplici ma efficaci:

1. Osserviamo i nostri ragazzi cercando di coglierne eventuali segnali di disagio o di preoccupazione (ovviamente evitando l’atteggiamento da ispettori o da giudici);

2. Ascoltiamoli senza trasmettere la nostra ansia o preoccupazione per un’interrogazione andata male o per un voto inferiore alle nostre aspettative;

3. Tentiamo di capire come va con i compagni e con gli insegnanti. Una buona idea per indurre soprattutto i più piccoli a parlare della loro giornata e dei rapporti in classe è parlare magari proprio della nostra giornata;

4. Imparare a ridimensionare e ad inquadrare nella giusta ottica i compiti ed i doveri mostrando la bellezza della scuola;

5. Mostriamo loro che la scuola non è solo “fare i compiti o interrogazioni” ma soprattutto altro, cioè possibilità di crescita personale e di relazione.

In casi ovviamente più seri, si consiglia il ricorso ad un esperto.

Buona scuola, sempre!

Maria Domenica Depalo

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Riempiamo le scuole di letteratura

Allora invece di riempire le scuole di lavagne digitali e ca***te varie, riempiamole di letteratura, perché quello è il luogo eminente in cui impari i sentimenti .
Perché i sentimenti si imparano , non ce li hai per natura. E se uno ha sentimento non brucia un immigrato che dorme sulla panchina
Uno che ha sentimento non picchia un handicappato
Se uno fa queste cose non ha sentimento. Non l’ha imparato .”

Umberto Galimberti, Il segreto della domanda. Intorno alle cose umane e divine.

Quanto pesano queste parole in una società che sembra aver dimenticato l’importanza delle “lettere” e della connessione inevitabile e necessaria tra le parole ed i sentimenti.

Come dice Galimberti, i sentimenti si imparano. Ognuno di noi li acquisisce sin dall’infanzia, attraverso l’esempio, i gesti e le parole pronunciate ma anche scritte.

Tuttavia la lettura consente ad ognuno di noi un atto di riflessione che abbraccia se stessi e la realtà nella quale si è inseriti scoprendone aspetti e caratteristiche che sembrano estranei ma in verità appartengono anche a noi.

Leggere aiuta ad affinare la propria sensibilità ed il rispetto per sé stessi e per gli altri e tutti i libri possono aiutare in tal senso. Non esiste infatti un manuale specifico.

Anche il libro di favole con i suoi personaggi e mondi misteriosi possono ben prestarsi a questa finalità ed incidere sullo sviluppo della propria sensibilità.

Quali sono i libri che avete amato di più e che vi hanno colpito maggiormente tanto da incidere su di voi e sulla vostra persona?

Link:

https://fuoritempofuoriluogo.com/2019/01/09/empatia-lio-come-laltro/

Maria Domenica Depalo

Stimoli e psiche infantile

I bambini di oggi sono sottoposti a troppi stimoli che la loro psiche infantile non è in grado di elaborare. Stimoli scolastici, stimoli televisivi, processi accelerati di adultismo, mille attività in cui sono impegnati, eserciti di baby-sitter a cui sono affidati, in un deserto di comunicazione dove passano solo ordini, insofferenza, poco ascolto, scarsissima attenzione a quel che nella loro interiorità vanno elaborando. Quando gli stimoli sono eccessivi rispetto alla capacità di elaborarli, al bambino restano solo due possibilità: andare in angoscia o appiattire la propria psiche in modo che gli stimoli non abbiano più alcuna risonanza“.

UMBERTO GALIMBERTI, I miti del nostro tempo

Compiti, calcetto, danza, musica e chi più ne ha, più ne metta. I nostri bambini, a quanto pare, sono pieni di impegni interessanti, creativi e stimolanti sia da un punto di vista fisico che intellettuale.

Tuttavia quanto pesano tutti questi stimoli sul sereno processo di crescita del bambino? Quanto può sentirsi fagocitato da tutta questa mole di impegni nostro figlio o nostra figlia? Quali “brutti scherzi” può giocare l’ansia da prestazione inevitabilmente connessa alla pulsione di primeggiare?

D’altronde spesso si tratta di una pulsione che trae origine da reconditi ed inespressi desideri proprio di quei genitori che come se fossero “in ritardo” tentano di realizzare se stessi attraverso i propri figli e di seguire passioni che sono state loro precluse quando erano fanciulli.

Parliamo di primeggiare e non di divertirsi. Il punto è che sottoporre i bambini a degli stimoli è un’ottima cosa ma tormentarli costringendoli a raggiungere standard e risultati tali da permetter loro di distinguersi ma senza avere il gusto di dedicarsi a qualcosa perché semplicemente piace può essere deleterio.

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Cosa accade alla loro interiorità? Che fine fanno i loro sogni visto che viene dato spazio ai sogni o ai progetti di altri? Quanto può essere frustrante dedicarsi a qualcosa solo perché lo si deve fare? Non sarebbe meglio semplicemente divertirsi?

Anche perché è soprattutto attraverso il piacere ed il divertimento che è possibile crescere, evolvere e scoprire talenti che possono anche tornare utili nella vita.

Cosa ne pensate?

Maria Domenica Depalo

Elogio della timidezza

Occhi bassi e voce flebile. Il mondo dei timidoni abbraccia più persone di quanto si possa immaginare. E voi, siete timidi?

Partiamo dal fatto che la timidezza è un’emozione assolutamente normale. Tuttavia può incidere in maniera significativa sulla nostra vita impedendoci di vivere appieno certe situazioni e momenti che possono rivelarsi anche preziosi ed importanti.

Essere timidi non significa però non saper o voler apprezzare la compagnia altrui. Il problema è proprio riuscire a vincere le proprie paure ed avvicinarsi alle persone con sicurezza. Le ragioni possono essere varie come il timore di non sentirsi all’altezza oppure quello di essere giudicati negativamente.

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La persona timida spesso e volentieri può provare anche un forte senso di disagio che può manifestarsi anche attraverso il linguaggio del corpo. Balbettio, sudorazione eccessiva, rossore sulle guance e sguardo basso: i segnali ci sono tutti per capire se ci sentiamo a nostro agio.

La timidezza non va però sempre vista come qualcosa di negativo. Cerchiamo di vederne quindi gli aspetti più significativi e positivi:

1. A noi timidoni piace ascoltare: è un nostro modo personalissimo per mostrarci vicini a chi ci circonda.

2. Parlare… Ma perché sprecare tempo con parole inutili e ridondanti quando basta uno sguardo semplice e significativo per entrare in contatto con chi davvero è disposto ad ascoltare.

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3. La delicatezza dell’eloquio del timido ci mostra per quello che siamo ed è indice di un grande rispetto anche per chi non ci comprende.

4. Chi è timido non si palesa nell’immediato ma il suo disvelamento può portare a bellissime sorprese.

5. Il mondo dei timidi non è quello che immaginiamo. È ricco di una bellezza misteriosa che attende solo di essere rivelato.

E voi, cosa ne pensate?

Link: https://www.centodieci.it/empowerment/timidezza-come-farne-una-caratteristica-vincente-in-7-mosse/

Maria Domenica Depalo